Dopo una settimana di silenzio, Matteo Renzi è tornato ad attaccare pesantemente la magistratura. E lo ha fatto attraverso la propria pagina Facebook. “Oggi il vicepresidente del Csm Ermini, interrogato come testimone nell’ambito del processo Davigo, conferma per filo e per segno ciò che io ho scritto nel libro “Il Mostro”. Dunque Ermini che minacciava invano querele (poi non fatte) o non ha letto Il Mostro o non l’ha capito. Ancora poche settimane e il Csm di David Ermini sarà solo un brutto ricordo”. Parole che si riferiscono, in modo chiaro ed inequivocabile alla presunta “loggia Ungheria” e agli interrogatori dell’avvocato Pietro Amara.
Renzi nelle pagine del suo libro “Il Mostro”, ha accusato senza mezzi termini Ermini di aver distrutto “materiale ufficiale proveniente dalla Procura di Milano, eliminando il corpo del reato”. Immediata la replica del vicepresidente del Csm, sostenendo che si trattava di una “affermazione temeraria e falsa, essendo il cartaceo mostratomi dal dottor Davigo, come ho più volte pubblicamente precisato e come il senatore Renzi sa benissimo, copia informale, priva di ufficialità, di origine del tutto incerta e in quanto tale senza valore e irricevibile. Il senatore Matteo Renzi ne risponderà davanti all’autorità giudiziaria”.
Una polemica quella fra Renzi ed Ermini datata metà maggio che torna di stretta attualità oggi, a distanza di quasi due mesi . Un’unica, granitica certezza è che questa sarà la battaglia più importante della carriera politica del leader di Italia Viva. Uno scontro dal quale uscirà o vincitore assoluto o sconfitto, senza prove di appello, destinato all’oblio e ricordato solo come un enfant prodige che non ce l’ha fatta.
Il vice presidente del Csm David Ermini, ha definito i verbali secretati nei quali l’ avvocato Piero Amara, interrogato a Milano per il caso del “falso complotto Eni”, ha parlato della loggia Ungheria. Verbali di interrogatori “non firmati, inutilizzabili e inservibili”, il cui contenuto però era dirompente. Una “presunta loggia massonica coperta“, ha spiegato Ermini, che avrebbe alti magistrati, avvocati, vertici delle forze armate e di polizia, imprenditori e politici. Fatti talmente gravi che, poche ore dopo essere stato informato da Davigo, il 4 maggio 2020 Ermini ha deciso di andare a parlare della vicenda con il Presidente della Repubblica.
“Davigo mi disse che sarebbe stato opportuno che andassi dal Presidente della Repubblica” perché “della presunta loggia facevano parte esponenti delle forze armate e delle forze di polizia – ha spiegato Ermini – specialmente Polizia e Carabinieri. E poi anche magistrati, ex magistrati, un ex vicepresidente del Csm“. “Io risposi di sì – ha aggiunto Ermini – . Andai dal presidente e gli riferii anche quello che mi aveva detto Davigo“. Mattarella “non fece alcun commento“. Nei giorni successivi, Davigo si era recato da Ermini e gli aveva consegnato una copia non firmata di quei verbali. Documenti che aveva ricevuto in pieno lockdown dal pm Storari della procura di Milano . Il magistrato aveva voluto in questo modo “autotutelarsi” di fronte alle lentezze della Procura di Milano nell`avviare formalmente le indagini sulla vicenda.
“Ritenni quella di Davigo una confidenza”, ha ricordato Ermini, che non appena ricevuti i documenti ha detto di averli strappati e buttati nel cestino, non sapendo che fossero secretati. “In consiglio noi non possiamo avere atti che non siano formali”, ha spiegato. Non solo. “La cosa doveva rimanere segreta, perché se qualche consigliere fosse rimasto coinvolto non era opportuno”, ha precisato il vicepresidente del Csm sottolineando come l’avvocato Amara avesse indicato i magistrati consiglieri del Csm Sebastiano Ardita e Marco Mancinetti come “affiliati” alla loggia coperta .
“In cuor mio pensavo che quelle carte” relative agli interrogatori in cui Amara parlava della loggia Ungheria “dovessero arrivare al comitato di presidenza in modo rituale e per le vie ufficiali”, ha aggiunto Ermini, altrimenti il Csm “non avrebbe potuto fare nulla”. “Davigo non mi chiese di veicolare quei verbali al comitato di presidenza del Csm, sennò gli avrei detto che erano irricevibili. Me li ha consegnati perché li leggessi”, ha precisato Ermini.
L`ex pm di Mani Pulite ora in pensione, aveva anche detto di aver consegnato il plico anche al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e a quel punto per Ermini “la vicenda era finita“. “Nelle condizioni in cui abbiamo vissuto in questi anni”, dopo il caso di Luca Palamara e lo scandalo sulle nomine del Csm “una velina non firmata con dichiarazioni dubbie non la posso accettare“, ha chiarito Ermini.
“Io che me ne dovevo fare di questi verbali? – ha aggiunto – Erano irricevibili, mica potevo diventare il megafono di Amara“. Anche Davigo è intervenuto in aula facendo dichiarazioni spontanee. “Una delle ragioni per cui non ho formalizzato immediatamente è perché, una volta protocollato, il plico viene visto dalla struttura” del Csm, inclusi i componenti delle commissioni interessate, i giudici segretari e i funzionari. “Non si trattava di una vicenda isolata e anomala – ha chiarito Davigo – ma di una situazione in cui il comitato di presidenza aveva ragione di dubitare della tenuta della struttura consiliare“.
“Quando il pm Storari viene da me” per “autotutelarsi” di fronte a quelle che riteneva un`inerzia della Procura di Milano nell`avviare le indagini io ricevo una notizia di reato – ha proseguito Davigo -. Io sono un pubblico ufficiale, ho l`obbligo di denunciare, cosa che feci al pg Giovanni Salvi. La questione era che io dovevo segnalare la vicenda in modo che non potesse comunque recare danno alle indagini. Avrei potuto fare una denuncia alla Procura di Brescia, che avrebbe chiesto gli atti alla Procura di Milano, con il risultato che le indagini non si sarebbero più fatte. La mia finalità principale era che quel processo tornasse sui binari di legalità, perché non c’erano i binari della legalità“.
“Non ricordo se ho detto al vicepresidente del Csm David Ermini che i verbali sono secretati “- ha concluso Davigo che ogni tanto svanisce la memoria come per incanto – “ma sono certo di avergli detto che dopo 5 mesi la Procura di Milano non aveva ancora fatto nulla”. Il processo riprenderà il 13 ottobre.