ROMA – La Corte d’Assise di Taranto, presieduta dal giudice Giuseppe Licci (a latere Elvira di Roma e sei giudici popolari) ha rigettato le richieste di patteggiamento proposte, con il consenso della procura, dalle società ILVA spa e Riva Forni Elettrici, (che si aggirava invece sui 2 milioni di euro) la cui posizione era stata stralciata nel processo “Ambiente Svenduto” per il presunto disastro ambientale causato dall’ILVA, dichiarandole inammissibili .
La richiesta di patteggiamento dell’ex Riva Fire ora Partecipazioni industriali non era stata accettata dal collegio della Corte d’Assise presieduto dal giudice Michele Petrangelo in quanto alla data della precedente udienza del 1 marzo scorso, l’ingente somma di 1,23 miliardi sequestrata nel 2013 ai Riva dalla Procura di Milano e Guardia di Finanza per reati di natura economica e finanziaria non si erano ancora definiti ed i soldi non ancora rientrati in Italia, somme successivamente rientrate dalla Svizzera e già depositate sul Fondo Unico Giustizia.
La proposta di patteggiamento avanzata dall’ ILVA spa prevedeva otto mesi di commissariamento giudiziale, affidato agli attuali commissari Carrubba, Gnudi e Laghi, e 241 milioni di euro titolo di confisca, ritenendo tale somma profitto proveniente dal reato compiuto negli anni 2009/2013, ed ulteriori 2 milioni di euro come sanzione. La Corte d’Assise ha ritenuto che possano essere patteggiati i reati amministrativi delle società se sono patteggiabili i cosiddetti reati-presupposto e ha indicato nel caso specifico non è patteggiabile il reato di avvelenamento di sostanze alimentari contestato agli imputati .
“Nel caso in questione, non sembra sussista alcuno dei detti presupposti di ammissibilità” si legge nel provvedimento della Corte – In primo luogo, difatti, il procedimento principale nei confronti delle persone fisiche per i reati per i quali gli enti istanti sono chiamati a rispondere in via amministrativa è tutt’altro che definito nelle forme del patteggiamento” . “Né detto procedimento potrebbe essere definibile nelle dette forme vista l’estrema gravità e pluralità dei reati – si pensi a quello di cui all’art. 439 c.p. (avvelenamento di acque o sostanze alimentari) che prevede come minimo edittale la pena di 15 anni di reclusione – circostanze come tali ostative al ricorso anche al cosiddetto patteggiamento allargato“.
La Corte ha obiettato in secondo luogo che “certamente, nemmeno si versa nell’ipotesi di illeciti amministrativi dipendenti da reati puniti in concreto con la sola pena pecuniaria“. Secondo il collegio presieduto dal giudice Licci “pure al netto di imprescindibili valutazioni preliminari di ammissibilità delle richieste di applicazione della sanzione ex art. 63 D.lgs 31/2001, a giudizio di questa Corte, la pena concordata con i rappresentati della Pubblica accusa e in esse trasfuse, paiono sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione“.
La Corte d’Assise di Taranto ha dichiarato inammissibile il patteggiamento in quanto nel processo a carico delle persone fisiche . Ma secondo il collegio difensivo dei Riva “sono contestati reati puniti con pene elevate, non definibili con rito alternativo. In realtà, la disciplina prevede questo sbarramento solo per le ipotesi rientranti nel catalogo dei reati 231; l’avvelenamento non rientra in questo catalogo, per cui il provvedimento potrebbe essere viziato da abnormità e quindi stiamo valutando il ricorso per Cassazione“.
Il procedimento è stato quindi riunito al processo-madre, la cui prossima udienza fissata per il prossimo 12 luglio, vede imputate 44 persone fisiche e la società Partecipazioni industriali (ex Riva Fire).