ROMA – Nei giorni precedenti al voto dell’ 11 giugno scorso a Taranto abbiamo ricevuto fotografie, video, persino testi di conversazioni via WhatsApp fra il signor Salvatore Micelli ed una donna di Taranto che disperatamente cercava di sistemare i propri figli nella Cooperativa Indaco da qualche mese rappresentata legalmente dal Micelli. Un cognome che ricorre spesso nelle cronache giornalistiche del capoluogo jonico. Il suo “esordio” sulle cronache risale al maggio di 5 anni fa, quando venne arrestato e posto agli arresti domiciliari per aver aggredito e minacciato una donna e suo marito con una pistola lanciarazzi. Sul posto intervenne la Polizia di Stato che lo arrestò e portò in Questura (leggi QUI) .
Il Micelli ricompare negli atti di polizia giudiziaria il 10 ottobre 2014. “Se non mi sbaglio sta venerdì la riunione del Consorzio. Fatti vedere venerdì”. La Squadra Mobile di Taranto intercettò questo colloquio tra il noto boss Orlando D’Oronzo e un suo consulente e quindi avviò subito una specifica attività di pedinamento per il giorno indicato dagli interlocutori. “In esito alla quale, proprio in data 11 aprile 2014 si notava sopraggiungere Orlando D’Oronzo, in compagnia del figlio Cosimo e del “consulente” Micelli Salvatore presso la sede di Confindustria dove si intratteneva per circa due ore”. Con chi parlarono D’ Oronzo e Micelli in Confindustria a Taranto per due ore resta un mistero anche per i vertici dell’ associazione industriali che ascoltati dalla Polizia in veste di “persone informate sui fatti” non sono mai stati coinvolti o incriminati.
Questo ed altri particolari inquietanti sono tratti dall’ordinanza firmata dal dr. Alcide Maritati, Gip del Tribunale di Lecce, , nell’ambito delle indagini sulla mala tarantina condotte dalla Procura della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Il procedimento in questione è quello denominato “Alias due”, troncone successivo dell’operazione che nei mesi scorsi aveva portato in carcere 52 persone, spargendo forti motivati sospetti di collusioni su pezzi importanti del potere politico e imprenditoriale locale. Come i nostri lettori ben ricorderanno, durante la conferenza stampa seguita a quegli arresti, lo stesso Procuratore capo della Dda, Cataldo Motta, censurò pesantemente l’operato della Giunta comunale di Taranto guidata da Ippazio Stefàno.
Secondo la Procura Antimafia leccese “nelle mire imprenditoriali del D’Oronzo per il tramite del citato Consorzio, vi era senz’altro l’ aggiudicazione dei lavori di rifacimento del porto mercantile di Taranto”. La prova, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe in una conversazione telefonica tra il “consulente” vicino a D’ Oronzo ed un altro interlocutore: “sono stato ad una riunione in Confindustria per un Consorzio di cui facciamo parte, per entrare al porto a lavorare”, dice. E, ancora secondo i giudici, “ad ulteriore conferma che la gestione del consorzio è direttamente curata da Orlando D’Oronzo vi è poi una conversazione telefonica tra lo stesso e un amico titolare di un’azienda di trasporti e movimento terra”. In questa intercettazione il boss racconta: “madonna mia, abbiamo fatto un’assemblea ultimamente, venerdì scorso, e poi mi devono dare certi moduli a me, mi devo fare un giro per fare nuove adesioni”. E aggiunge, “perché le cose, si stanno muovendo proprio non bene, benissimo”.
Il business degli immigrati. La cooperativa “Falanto Servizi“, riconducibile secondo gli inquirenti al “clan D’Oronzo-De Vitis” si era infiltrata anche nel business dell’emergenza immigrati, e nel maggio 2015 la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, ha eseguito nei confronti di questa cooperativa un decreto di sequestro nell’ambito dell’operazione “Alias 2” di oltre 640mila euro sequestrati nei conti correnti bloccati dalla Squadra Mobile di Taranto della Polizia di Stato e dal Gico della Guardia di Finanza di Lecce, che avrebbe principalmente colpito l’ex-consigliere comunale Fabrizio Pomes, ex amministratore proprio della “Falanto Servizi“, e i conti familiari di Michele De Vitis e della moglie l’ex-consigliera comunale Ncd Giuseppina Castellaneta, in quanto la “Falanto” avrebbe infatti ricevuto in affidamento il servizio di distribuzione pasti di un centro nel quale i migranti vengono ospitati una volta giunti nel porto di Taranto, grazie ad un contratto firmato nel marzo scorso con l’associazione Salam, le sarebbero stati affidati anche i servizi legati alla fornitura di lenzuola, cuscini e altro, ed il servizio di vigilanza giorno di notte, della struttura situata a pochi passi dal quartiere Paolo VI.
A confermare della presenza della “Falanto Servizi” nella vicenda giudiziaria fu proprio Salvatore Micelli, già consulente della cooperativa per la vicenda sull’ Iperconsorzio Multiservizi con il quale il clan ha tentato di entrare negli appalti relativi all’adeguamento delle infrastrutture del porto di Taranto. Micelli, che non è stato indagato (non avendo alcun ruolo di rappresentanza legale all’epoca dei fatti nella cooperativa) , spiegò che si trattava “di un contratto per fornitura di servizi. Non è un contratto di appalto direttamente con la Prefettura, ma di un subappalto dell’associazione Salam” la quale aveva vinto una gara indetta dalla Prefettura di Taranto. Quindi un contratto vero e proprio, che era stato stipulato prima del sequestro della Magistratura.
Nella lista “Progetto in Comune” costituita da Salvatore Micelli (e la sorella Barbara, socia della cooperativa), era presente una candidata Valentina Ingenito (candidatasi alle Comunali racimolando appena 7 voti di preferenza) operatrice della Cooperativa Indaco, “raccomandata” dallo zio che lavora presso la Prefettura di Taranto , Lucia Viafora, che ci risulta priva di alcuna competenza ed esperienza precedente comprovabile nel campo dell’accoglienza, ma Micelli in realtà l’avrebbe assunta per motivi politico-elettorali candidandola ( 187 voti), e lei ha chiesto in cambio l’assunzione di altri componenti della sua famiglia come “operatori” nella Indaco.