di Emanuele Di Palma*
C’è almeno un caso in Italia, in cui un pay off pubblicitario rende l’idea del prodotto. E’ il caso del Credito Cooperativo: differente per forza. Fino ad oggi la forza delle BCC, è stata realmente la differenza. Differenti, non più brave o migliori di altri intermediari. Semplicemente differenti. Nel corso degli anni le BCC non sono rimaste chiuse nella propria diversità, hanno – al contrario – adeguato gli indirizzi strategici al rapido mutare dei tempi; hanno determinato il proprio sviluppo e – dove possibile – avviato percorsi di crescita anche attraverso processi aggregativi che ne hanno rafforzato la presenza sul mercato.
Oggi, le BCC in Italia sono 372, presenti in 2.700 comuni, contano 4.000 sportelli, sono partecipate da oltre 1,2 milioni di soci ed erogano 90 miliardi di finanziamenti alle imprese. E’ una rete di banche autonome e indipendenti, connotate da un irrinunciabile patrimonio di conoscenza delle realtà locali; una rete, sempre più importante per il territorio in cui opera. Malgrado tali indubbi elementi di vitalità, condivisa è l’esigenza per le BCC di perseguire adeguate forme di integrazione che consentano alle stesse di continuare a sostenere le comunità locali preservando lo spirito di mutualità.
Assume rilievo, in tale contesto, il possibile progetto di riorganizzazione del Credito Cooperativo, richiesto dall’Europa e sostenuto dal Governo, che può quindi rappresentare una occasione di crescita e consolidamento senza snaturare principi e peculiarità della mutualità creditizia. Riteniamo che ogni ipotesi di rivisitazione del sistema cooperativo – tanto se enucleata su base autodeterminativa, quanto se determinata nell’ambito di un più ampio processo legislativo – non possa prescindere, come ribadito dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio 2015: «da scelte condivise dall’intero sistema. Indipendentemente dal fatto che siano uno o più gruppi».
E da qui, ritengo, occorra partire nell’analisi dell’evoluzione del Credito Cooperativo. Il progetto di “autoriforma”, fin qui anticipato solo per grandi linee, nasce con un peccato originale: non è frutto del coinvolgimento effettivo delle banche che fanno parte del sistema. Risulta poco definito ed inficiato da criticità nel metodo, nella forma e nella sostanza. Quanto al metodo, le banche, prime destinatarie dell’iniziativa, non devono solo essere informate di un’ipotesi di lavoro che riguarda il loro futuro, quello dei soci e delle comunità servite, ma ne devono essere vere artefici; devono poter apportare al progetto, in un necessario confronto dialettico, effettivi contributi di idee, suggerimenti, elementi esperienziali di discussione.
Ogni programma di auto-riassetto deve trarre ispirazione dalle esigenze della base, essere frutto di una partecipazione dell’intero mondo del Credito Cooperativo. Il metodo partecipativo è irrinunciabile. Le BCC nel prossimo futuro non possono essere ridotte a semplici filiali di un gruppo, la cui configurazione peraltro è tuttora da definire. Ove, invece, l’opera di riassetto sia intrapresa dal legislatore, questo Parlamento è chiamato ad un compito delicatissimo: operare le scelte migliori per la collettività e migliorare una struttura “a rete” di banche autonome e indipendenti, che ha sempre fornito un prezioso servizio al Paese e ai mercati; deve cioè dire quale ruolo desidera che svolgano in futuro le Banche di Credito Cooperativo in Italia. Negli anni in cui molti istituti di credito, hanno evidenziato forti difficoltà di ordine strutturale, le BCC sono rimaste, a servizio dei territori, riferimento operoso delle aree di appartenenza e con i conti economici in ordine, diventando sempre più modello di buone pratiche.
Un progetto di riordino, da chiunque avviato, che non tenga conto di questi elementi rischia di distruggere il lavoro di generazioni di cooperatori e di minare sia la fiducia della clientela che il senso identitario di milioni di soci. Ciò diventa ancor più incomprensibile, ove si consideri che altri Paesi il modello cooperativo del credito si sta rafforzando. Le BCC sono consapevoli che un processo di razionalizzazione vada effettuato. Vanno tagliati i rami secchi, centrali e periferici, ascoltate professionalità, riconosciuti esempi positivi, buone governance. E su questa strada, con lungimiranza e visione positiva, il sistema si sta modificando. Le banche procedono a fusioni (circa 20 negli ultimi mesi). Sono strategie utili per offrire ai territori d’appartenenza banche sempre più solide e servizi più convenienti, operando con responsabilità gestionale e con autonomia; tutto ciò, pur in un clima di generalizzate incertezze. In definitiva, le singole BCC riescono a rispondere positivamente ad un mercato che dà segni di ripresa, mentre giunge eco di una “autoriforma” che presenta molti punti di debolezza tanto nella forma quanto nella sostanza, coprendo con l’urgenza una serie di lacune nei contenuti che necessitano di essere prontamente colmate prima che incidano sulla credibilità dell’intero sistema.
La domanda da porsi preventivamente ad un provvedimento legislativo è: quali leve resterebbero alle stesse BCC nella gestione del conto economico? Le stesse BCC ora “virtuose” con conti economici in attivo, non potendo più gestire al meglio le proprie risorse finanziarie in esubero rispetto agli impieghi, vedrebbero i propri risultati economici condizionati da scelte centralistiche che nulla hanno a che vedere con i singoli territori. Non potendo più in questo modo gestire le singole realtà, scegliere autonomamente le controparti finanziarie e fornitrici di prodotti e servizi per la clientela, le BCC vedrebbero i propri spazi operativi ridursi notevolmente creando, tra l’altro, prevedibili fenomeni di forte demotivazione tra i dipendenti. Si vuole soffermare l’attenzione su alcuni passaggi chiave che spero possano essere d’aiuto per disegnare una cornice normativa entro la quale ridisegnare il futuro delle BCC.
Quando si parla di gruppo sarebbe opportuno chiarire se trattasi di “gruppo cooperativo paritetico” legato da un “patto di coesione” o di “gruppo verticale” legato da un “patto di dominio“. Le scarne indicazioni sin qui fornite relativamente all’ipotesi di gruppo paritetico appaiono francamente poco convincenti e scarsamente coerenti con i più generali principi connotativi dell’attuale quadro normativo. Nel gruppo orizzontale il coordinamento delle attività viene invero affidato ad una cooperativa capogruppo, per mezzo di un contratto regolamentato dal punto di vista legislativo e non è prevista una partecipazione azionaria; inoltre il gruppo paritetico si configura secondo la peculiare forma consortile.
Inoltre, per la realizzazione del gruppo va rispettato il principio dell’effettiva partecipazione di tutti gli intermediari interessati alla formazione del patto, comunque lo si voglia definire. In ogni caso, non si può prescindere dall’ineludibile principio costituzionale che riconosce il carattere e le finalità della funzione sociale della cooperazione. Va quindi assicurato, che le varie entità del gruppo si trovino in una situazione di sostanziale pariteticità. Quindi occorre costruire meccanismi volti a favorire il massimo grado di integrazione tra le varie BCC. Va infine osservato che il gruppo cooperativo unico, oltre che singolare, pare irragionevole e difficilmente proponibile sotto un profilo giuridico, atteso che i caratteri essenziali della mutualità non sono destinati magicamente a scomparire in seno alla BCC che non intenda aderire ad un progetto che si presenta difficilmente compatibile con il modello logico della mutualità prevalente.
Come si fa a scrivere regole comuni successivamente al quadro normativo? Le peculiarità della governance della Capogruppo o delle Capogruppo non possono essere lasciate ad un secondo momento. Chi stabilisce la governance? Con quali regole? Con quale trasparenza? Qual è il ruolo dei soci in questo contesto? E’ indispensabile prevedere una exit strategy (ossia regole chiare e rispettose dei principi fondanti dell’ordinamento) per le BCC che non volendosi assoggettare alle regole della Capogruppo vogliano continuare a svolgere la propria attività mutualistica. Bisogna, quindi, nell’ambito di una riforma generale e complessa, affrontare il nodo delle riserve indisponibili, che a puro titolo di esempio potrebbero seguire il destino della Banca che le ha prodotte, pur rimanendo indivisibili ed indisponibili, ma al servizio della banca e del territorio; vanno salvaguardati il diritto di impresa (riconosciuta dal TUB, dalla nostra Costituzione e dalla normativa comunitaria) e i principi di mutualità e cooperazione.
In tale nuova cornice di riferimento, si deve consentire alle banche cooperative di competere a parità di condizioni sui mercati, assicurandone la concorrenzialità dei prodotti e dei servizi, sempre a tutela della concorrenza. In tale contesto vanno altresì rimossi alcuni vincoli connaturati alla forma cooperativa (in primis i limiti al possesso azionario), che impediscono alle BCC di ricapitalizzarsi accedendo autonomamente al mercato dei capitali di rischio. Inoltre occorre elevare la qualità del management, migliorare i processi produttivi, rafforzare le funzioni di controllo. La definizione di tali importanti aspetti non può essere rimandata.
Le domande e perplessità sono lecite. L’autonomia deve essere concreta e non puramente formale. Il dubbio che serpeggia è che si vengano a costituire uno o più gruppi in cui le debolezze siano superiori ai punti di forza, e quindi invece di risolvere un problema se ne crei uno più grande. Mi preme dare rilievo ad uno dei punti di forza del Credito Cooperativo, l’entusiasmo degli amministratori, la voglia di fare del management e l’abnegazione del personale che con orgoglio ed impegno hanno contribuito a sviluppare il tessuto economico e sociale di territori molto spesso modestamente valorizzati. Le singole BCC, visto lo scarso coinvolgimento nel progetto di autoriforma potrebbero rispondere nei territori con poca partecipazione e rendere molto complesso il cammino di uno o più gruppi dei quali non hanno ancora compreso spirito, scopo, funzioni, poteri, governance e così via.
Siamo di fronte ad un progetto poco chiaro. Non è nota la missione che il nuovo gruppo dovrebbe avere come base di partenza. Pericolo, questo, che potrebbe dare il via a tutte le azioni giuridicamente possibili da parte delle banche per riappropriarsi del proprio destino e delle proprie scelte. Che si debba ammodernare il sistema per renderlo più solido è indubbio, così come è scontata un’azione che traghetti la rete delle BCC verso un ulteriore efficientamento più aderente ai tempi e alle esigenze dei mercati moderni. La soluzione da individuare per un effettivo miglioramento del sistema del credito mutualistico non può quindi prescindere dall’idea della visione che si ha del futuro e del ruolo che le banche cooperative saranno chiamate a svolgere nei territori in cui operano.
Siamo alla vigilia di un generale ripensamento della struttura e della missione del credito cooperativo. Alla Politica il ruolo di governarla rispondendo su tutto ad una domanda: quale modello di BCC vogliamo dare all’Italia? Una BCC che abbia l’anima nelle diverse periferie continuando a sostenerle o una banca rientrante in una vasta galassia (come ce ne sono tante) il cui epilogo sembra già scritto? E’ fondamentale non snaturare la missione storica delle Banche di Credito Cooperativo, banche ad elevata vocazione locale, legate indissolubilmente al territorio in cui operano.
*direttore generale della Banca di Credito Cooperativo di San Marzano di S. Giuseppe