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27 Settembre 2024 01:58

Quando i giornali servono ai padroni per fare altri affari

“Anomali editori hanno causato perdite di copie ai loro giornali scegliendo direttori servili, per far censurare e deviare l’informazione secondo i diktat della proprietà e dei potenti di riferimento”.
di Giovanni Valentini*

Non tutti sanno, neppure fra i giornalisti, che il termine “gazzetta” proviene dal dialetto veneziano “gaxe ta”. Nel Cinquecento La gazeta dele novità prese nome dalla monetina d’argento che era il prezzo per acquistarla. Sappiamo tutti, invece, che cos’è la Gazzetta Ufficiale, su cui si pubblicano i testi delle leggi. E che La Gazzetta dello Sport è il quotidiano sportivo stampato in carta rosa. Molti altri giornali si chiamano o sono stati chiamati così. Ma al giorno d’oggi, oltre ai giornaloni, ci sono anche le gazzette degli “editori impuri” ovvero dei padroni o padroncini. È il caso, per esempio, della Gazzetta di Parma – uno dei più antichi quotidiani italiani, fondato nel 1734 – di cui s’è occupato recentemente Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano.

Il nostro collega ha raccontato che la Confindustria locale, proprietaria della testata fino al giugno scorso, avrebbe travasato 8,5 milioni di euro dal bilancio dell’azienda editoriale per ripianare le perdite della società che gestisce l’aeroporto intitolato a Giuseppe Verdi, anch’esso controllato dall’associazione degli imprenditori. L’operazione, secondo un esposto presentato alla Procura, sarebbe la causa della riduzione di capitale registrato nel 2020 nel bilancio del giornale, colpito ora da prepensionamenti, cassa integrazione e stato di crisi.

Fra gli “anomali editori” di cui parla Ivo Caizzi nella citazione iniziale, meritano di essere annoverati anche quelli della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, un giornale fondato nel 1887 che è stato uno dei maggiori quotidiani meridionali. I due nuovi proprietari, Antonio Albanese e Vito Miccolis, il primo “re dei rifiuti pugliesi” (plurindagato) e l’altro imprenditore dei trasporti extraurbani, hanno rilevato la testata dal fallimento della società controllata dall’editore Mario Ciancio; hanno sostituito due direttori nel giro di un paio d’anni; e hanno insediato un ex sindacalista, Mimmo Mazza, che aveva favorito la loro scalata al giornale.

Nel corso dell’operazione, si sono impadroniti del palazzo che ospitava la vecchia sede della Gazzetta e hanno ottenuto dal Comune di Bari una licenza per trasformarlo in un complesso residenziale di otto piani, con 88 appartamenti. Poi, hanno convertito la società editrice in una “società d’impresa senza scopo di lucro”, equiparata a una onlus o a una cooperativa, in modo da accedere alle provvidenze pubbliche per l’editoria e incassare così circa 1,8 milioni all’anno dallo Stato.Nel frattempo, sono state ridotte le edizioni provinciali e gli organici, suscitando le proteste dei redattori e dei poligrafici a cui ha fatto seguito un’interrogazione parlamentare di Avs: si prevede che entro il 31 dicembre 2024 vengano messi in cassa integrazione a zero ore 46 giornalisti.

Siamo, insomma, al trionfo degli editori “impuri”. Ovvero, dei padroni o padroncini che allungano le mani sui giornali per “ristrutturarli”: cioè, per ridimensionali e asservirli ai propri interessi ovvero fare affari in altri campi. Di recente la Fieg (Federazione editori giornali) è ricorsa al governo per lanciare l’allarme e sollecitare interventi a sostegno del settore, mentre le edicole chiudono una dopo l’altra o sono costrette a trasformarsi in piccoli bazar. Ma la prima misura da adottare sarebbe quella di sospendere o revocare i fondi pubblici (140 milioni di euro all’anno) erogati ai quotidiani di proprietà privata, tra cui Libero del gruppo Angelucci, riservandoli alle vere cooperative di giornalisti in nome del pluralismo dell’informazione.

*editoriale tratto dal Fatto Quotidiano
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