di REDAZIONE POLITICA
Il ministro della Giustizia Marta Cartabia scende in campo con “accertamenti preliminari, al fine di una corretta ricostruzione dei fatti, attraverso l’acquisizione degli atti necessari“. Sono due i due fronti aperti, nelle ultime settimane, che hanno tenuto banco tra colpi di scena e polemiche: sono quelli sull’asse Milano-Brescia ed Verbania. E sono due le deleghe firmate dal Guardasigilli al capo degli ispettori Maria Rosaria Covelli, nominata lo scorso 6 maggio, dopo aver presieduto il Tribunale di Viterbo, per una prima ricognizione per capire ed accertare cosa sia realmente accaduto.
Nel caso di Verbania, gli avvocati delle difese, stanno valutando in queste ore, anche la richiesta del trasferimento per “legittima suspicione” dell’inchiesta in un’altra sede , e dall’altro la bufera mediatica-giudiziaria che sta travolgendo la procura di Milano, con due magistrati, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ed il pm Sergio Spadaro, titolari del fascicolo d’inchiesta Eni-Nigeria, iscritti nel registro degli indagati per rifiuto di atti d’ufficio, accusati dai colleghi di Brescia di avere ignorato prove a favore degli imputati nel processo Eni-Nigeria. Anzi di avere fondato un intero procedimento su una testimonianza inattendibile. E’ finita così tristemente per la giustizia, l’autocelebrazione del rito ambrosiano, quello delle millantate “mani pulite”…
Verrà acquisita la sentenza del tribunale di Milano, che lo scorso marzo ha assolto tutti gli imputati, insieme ad una relazione del procuratore di Brescia Francesco Prete sui verbali del pm milanese Paolo Storari, che ha dichiarato fornendone documentazione di avere invaso di email le caselle di posta elettronica dei colleghi De Pasquale e Spadaro, che alcuni giorni fa sono stati oggetto di perquisizione , segnalando che il grande accusatore, Vincenzo Armanna, era inattendibile.
Un peso importate avrà anche la nota del 5 marzo, trasmessa da De Pasquale e Spadaro, al procuratore capo di Milano, Francesco Greco, con la quale i due pm spiegavano di non volere utilizzare le chat trasmesse da Storari. In una di quelle conversazioni acquisite di Armanna, un ex manager Eni licenziato dall’azienda, con chiedeva a un poliziotto nigeriano, la restituzione di 50mila euro ricevuti, per non aveva confermato in aula le accuse a carico degli imputati del “processo ENI-Nigeria“.
Gli ispettori di via Arenula per il momento inizialmente acquisiranno tutti gli atti, invitando i vertici degli uffici relazioni a predisporre delle relazioni, anche se qualora dovessero emergere elementi di rilevante gravità, gli ispettori potrebbero anche decidere di sentire i protagonisti delle due vicende. Poi stabilire se si profilino illeciti disciplinari.
Tra i documenti che finiranno agli ispettori per ricostruire cosa sia accaduto e se ci siano gli estremi per promuovere l’azione disciplinare, compare anche la nota che il giudice Marco Tremolada presidente del collegio della settima sezione penale, ha allegato alla sentenza Eni-Nigeria. Nel documento redatto da Tremolada in autotutela, il magistrato stigmatizzava l’iniziativa portata avanti nel corso del processo dai due pm, che chiesero di far entrare come teste nel dibattimento Piero Amara, l’avvocato di Siracusa protagonista di scandali e veleni, omettendo di informare i giudici sul fatto che nel frattempo era stato inoltrato ai colleghi bresciani, a inizio 2020, un passaggio di un verbale dello stesso Amara, che gettava gravi ombre su Tremolada.
Un procedimento che era finito con l’archiviazione. Il procuratore di Brescia Francesco Prete dovrà riferite nella sua relazione agli ispettori anche in relazione al video sequestrato che i pm milanesi, nell’ipotesi accusatoria, avrebbero nascosto al Tribunale. Si tratta di immagini catturate clandestinamente, nel luglio 2014, proprio da Amara, nelle quali, sempre Armanna ammette di voler screditare i vertici Eni, poi finiti a processo proprio sulla base delle dichiarazioni dell’ex manager.