Dalle motivazioni della sentenza del processo di primo grado a carico dell’ex pm Matteo Di Giorgio escono con le ossa rotte insieme al principale imputato (condannato a 15 anni di reclusione) anche le istituzioni tarantine, i massimi esponenti del passato e attuali della Procura di Taranto, nella fattispecie l’ex procuratore capo Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto Pietro Argentino, rappresentanti delle Forze dell’ordine, agenti della Digos, il vicequestore vicario in servizio fino a qualche anno fa, Michelangelo Giusti, un sostituto commissario della sezione di pg della Polizia di Stato della Procura e numerosi Carabinieri in servizio nelle caserme di Castellaneta e Ginosa. I due magistrati, poliziotti e militari dell’Arma dei Carabinieri , sono fra i 21 testimoni esaminati in dibattimento per i quali, con l’accusa di falsa testimonianza, il collegio del Tribunale di Potenza ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura lucana.
Nessuno è colpevole fino al terzo grado di giudizio, principio sacrosanto sancito dalla Costituzione, ma quello delineato nelle 665 pagine delle motivazioni è uno scenario inquietante. Dal processo basato su intercettazioni e numerose testimonianze emerge quello che viene battezzato “sistema Di Giorgio“, descritto come “una struttura a piani sovrapposti, le cui fondamenta erano costituite dall’esercizio o dallo sviamento delle sue funzioni giudiziarie o della sua qualità“. Un sistema, stando alla sentenza, che faceva leva sulla “connivenza di altri funzionari pubblici che operavano nella stessa struttura o diversamente abusando, a proprio profitto, delle ‘maglie larghe’ di una organizzazione dell’ufficio che prevedeva pochi controlli e lasciava ampi margini di discrezionalità nella assegnazione e nella gestione dei procedimenti“. (vedi Allegato 1 – pag. 15)
I fatti che riguardano il procuratore aggiunto Argentino sono emersi dalle testimonianze di due carabinieri. Il maresciallo Leonardo D’Artizio, all’epoca dei fatti in servizio alla compagnia di Castellaneta, ha riferito di un incontro tenuto di pomeriggio in Procura a Taranto con Argentino, sostituto procuratore, da lui e dal capitano Gabriele Stifanelli, comandante della compagnia (attualmente tenente colonnello). Argomento: presunti illeciti al comune di Castellaneta e pressioni di Di Giorgio sul consigliere comunale Domenico Trovisi per far cadere l’Amministrazione guidata dal sindaco e senatore Rocco Loreto. Tali circostanze gli erano state riferite da un assessore comunale, Pontassuglia, il quale, però, non aveva voluto mettere nero su bianco. Le sue dichiarazioni, comunque, erano state registrate dal maresciallo.
D’Artizio ha raccontato che Stifanelli prese appuntamento con Argentino ma, quando spiegarono il motivo della loro presenza in Procura, il magistrato li condusse dal procuratore capo Aldo Petrucci. Quest’ultimo disse loro che non si poteva iniziare un’indagine così delicata con quegli elementi. La vicenda finì lì, “perché non c’è mai stata la possibilità di iniziare un’indagine“. Sarebbe stata insabbiata sul nascere, stando alle dichiarazioni rese non solo da D’Artizio. Il racconto trova conferma in quanto riferito dal comandante Stifanelli. Quest’ultimo, l’anno successivo, il 2004, in un altro contesto, l’indagine sul suicidio di un carabiniere in servizio a Castellaneta, riferì al pm Vincenzo Petrocelli dell’incontro avvenuto nel 2003 e di una relazione acquisita dallo stesso Argentino. “Era fine estate,ricordo. E poi non se ne fece niente“. Sono state le parole dell’ufficiale dell’Arma, uno dei migliori in fatto di produttività e di contrasto al crimine in provincia di Taranto da diversi anni a questa parte.
Una deposizione definita “genuina” dal collegio in quanto il teste è estraneo al contesto del processo Di Giorgio e, al tempo stesso, “in stridente contrasto” con quelle di Argentino e Petrucci i quali, malgrado l’avvertimento del presidente del collegio su possibili responsabilità penali che potevano emergere dalle loro dichiarazioni, hanno negato di aver ricevuto il capitano Stifanelli e di aver acquisito la relazione. “Può ipotizzarsi un comune interesse a coprire, forse, la loro responsabilità, per avere omesso di formalizzare e inoltrare la denuncia di D’Artizio e Stifanelli. Verosimilmente perché essa coinvolgeva pesantemente il loro collega e amico Di Giorgio“. Altrimenti, sono sempre le motivazioni della sentenza, non si spiega la ragione per la quale, dopo tre anni, nel 2006, dopo aver appreso delle dichiarazioni rese da Stifanelli, Petrucci ha chiesto una relazione ad Argentino che l’ha fornita.
“I dottori Petrucci e Argentino, a parere del collegio, hanno così tentato di creare una copertura reciproca, formalizzando a “futura memoria” le rispettive posizioni in un atto scritto che non riportava però fedelmente i fatti accaduti”. Un rimedio peggiore del male, stando alle conclusioni dei giudici.
Durante la testimonianza, Argentino ha dichiarato di aver incontrato due marescialli dei quali non ricordava il nome ma non il capitano Stifanelli e ha sostenuto che non gli fu fatto il nome della fonte, non gli fu riferito del possibile coinvolgimento di Di Giorgio e non gli fu consegnata alcuna relazione. Anche sul contenuto dell’incontro la sua deposizione stride con quella dei testi ritenuti attendibili, D’Artizio e Stifanelli, è scritto nella sentenza, “non è credibile“.
La relazione di servizio dei Carabinieri, si legge nella sentenza, avrebbe dovuto essere trasmessa a Potenza dal procuratore Petrucci ma ciò non avvenne mai. Anzi, il capitano Stifanelli rischiò di essere perseguito sotto il profilo disciplinare per una nota di censura inviata dalla Procura al comando provinciale. Riuscì ad evitare provvedimenti soltanto perché non più in servizio in Puglia.
Quei fatti sono datati e le presunte responsabilità dei magistrati non sono più perseguibili per via della prescrizione. Quella stessa prescrizione prevista dal Codice, ed osteggiata dalla Magistratura. Nel frattempo, il processo a carico di Di Giorgio ed altri imputati è approdato in appello.