ROMA – “Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo per l’indizione del referendum popolare sul testo di legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari”. Lo ha comunicato Palazzo Chigi. A questo punto manca solo l’ufficialità, che arriverà a seguito del decreto firmato dal Presidente della Repubblica.
La consultazione popolare per la conferma o meno della riforma che taglia il numero dei parlamentari dagli attuali 945 complessivi a 600 totali (200 senatori e 400 deputati) Il 29 marzo l’Italia tornerà al voto per il referendum confermativo della riforma sul taglio dei parlamentari che non avrà quorum, poichè non si tratta di un voto abrogativo.
Secondo quanto previsto dalla Costituzione, “la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”. Per la validità del referendum costituzionale non è previsto alcun quorum minimo di votanti. E’ sufficiente che i consensi superino i voti sfavorevoli. Se il risultato della consultazione è positivo, il Capo dello Stato promulga la legge. In caso contrario, è come se la legge stessa non avesse mai visto la luce e l’esito della consultazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
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Quello del 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti che invece determina la validità dei referendum abrogativi.
COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI
La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
NESSUN QUORUM
A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è necessario che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendentemente da quante persone andranno a votare ai seggi elettorali.
L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE
Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è regolamentato dall’articolo 138 della Costituzione e serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con il contributo decisivo di alcuni della Lega .
I PRECEDENTI
Il primo caso di referendum confermativo fu quello del 7 ottobre 2001 allorquando si svolse il referendum per confermare o meno la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governi Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%.
Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguardava la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi : la cosiddetta ‘devolution’ venne bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%.
Il terzo caso di referendum confermativo nella storia repubblicana è avvenuto il 4 dicembre 2016 : la maggioranza dei votanti respinse il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no fu il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti costituirono quasi record, furono quasi il 69%. La conseguenza politica furono le dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio dei Ministri.