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22 Dicembre 2024 07:16

Sole 24 Ore, ecco le carte: così si è arrivati al disastro del quotidiano di Confindustria

Lo "scoop" di Giuseppe Oddo pubblicato sul settimanale L' Espresso. Ricavi giù, tagli dei costi inefficaci, dismissioni misteriose. Il buco del giornale e del gruppo era noto da anni al Cda. Adesso dai verbali del consiglio si scopre come sono stati dilapidati 350 milioni di euro in otto anni

CdG sole24ore confindustriadi Giuseppe Oddo

I problemi economici e patrimoniali del Gruppo 24 Ore erano già gravi nel momento in cui Benito Benedini ne assumeva la presidenza su designazione dell’allora numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi, e mentre Donatella Treu era riconfermata nel ruolo di amministratore delegato. La notizia, che adesso è resa pubblica dall’Espresso, emerge dal verbale di Cda del 30 luglio 2014 dove si parla chiaramente della possibilità di un aumento di capitale. Le figure chiave del consiglio d’amministrazione e l’alta dirigenza del gruppo erano dunque ben consapevoli dei rischi che incombevano sulla società editrice del Sole 24 Ore, il prestigioso quotidiano economico, i cui bilanci erano in caduta libera già dal 2009.

All’esame di quella riunione c’erano tra l’altro un finanziamento a medio termine fino a 60 milioni e l’incremento di una linea di credito precedentemente accordata da UniCredit, misure che si affiancavano all’apparente miglioramento dei conti e alle mirabolanti vendite del quotidiano in edizione digitale, cioè l’edizione cartacea trasferita su tablet. Annotava nel verbale il segretario del Cda: “La dottoressa Montanari (Valentina Montanari, tuttora direttore finanziario del Sole 24 Ore, ndr) afferma che la nuova tipologia di credito consentirebbe di dotare il Gruppo di una struttura di finanziamento più stabile, in alternativa alla dotazione di mezzi derivanti da un aumento di capitale”. E aggiungeva: «Il dottor Biscozzi (Luigi Biscozzi, presidente del collegio sindacale, ndr) chiede quali ragioni inducano ad escludere l’alternativa dell’aumento di capitale».

Seguivano gli interventi di Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, e dello stesso Benedini: “L’avvocato Panucci rileva che a suo giudizio non sussiste una condizione tale da richiedere un intervento ai soci. Il presidente osserva che la nuova operazione consentirebbe in ogni caso di offrire al gruppo una forma di finanziamento meglio strutturata e che essa non precluderebbe aumenti di capitale, qualora si manifestassero le condizioni per procedervi” . In quello stesso Cda era stato annunciato il sorpasso: con 184 mila copie digitali vendute, Il Sole 24 Ore si collocava al primo posto nella classifica dei maggiori quotidiani italiani, davanti a Repubblica e al Corriere della Sera. E, sommando all’edizione digitale quella cartacea, il giornale arrivava a diffondere – stando al medesimo resoconto – 363mila copie.

sccop espresso_sole24oreIl Sole 24 Ore sembrava miracolosamente risorto a nuova vita grazie all’inesauribile estro del suo direttore responsabile, Roberto Napoletano. Eppure erano appena trascorsi dodici mesi da quando Benedini aveva dichiarato al comitato di redazione di avere trovato, all’atto del suo insediamento, un giornale in stato prefallimentare (affermazione che ribadirà in seguito davanti alle rappresentanze sindacali dell’intero gruppo). Il 2013 era stato un anno da dimenticare. La sequenza dei dati di bilancio – così come emerge dai documenti del Cda di cui l’Espresso ha preso visione – è impressionante. Dopo la quotazione in Borsa, nel dicembre 2007, e dopo un 2008 ancora positivo, era cominciata la vertiginosa discesa dei ricavi: 509 milioni nel 2009, 473 nel 2010, 468 nel 2011, 431 nel 2012, 385 nel 2013 (contro una previsione di 451), 310 nel 2014. Solo nel 2015 avevano mostrato una lieve inversione di tendenza, a 325 milioni, ma era stato un fuoco di paglia. Nel 2016, con l’uscita di Benedini e della Treu e con la nomina ad amministratore delegato di Gabriele Del Torchio, il giro d’affari è infatti ritornato a scendere e, secondo stime ancora approssimative, potrebbe attestarsi sui 300 milioni al 31 dicembre.

Rispetto a otto anni fa è un’ecatombe: 273 milioni di ricavi distrutti, 350 milioni di cassa andati in fumo, perdite nette cumulate per 320 milioni, un patrimonio netto di appena 16,3 milioni di euro e un patrimonio netto tangibile (depurato degli avviamenti e delle altre attività immateriali) negativo per oltre 53,8 milioni di euro. Hanno contribuito alla débâcle non solo il calo strutturale della pubblicità e delle vendite (tramite edicola e per abbonamento) comune a tutto il settore, ma anche il calo di aree tradizionalmente redditizie come quella delle riviste e dei libri per professionisti.

La classica arma di contrasto con cui il consiglio ha cercato di porre un freno alla rovinosa discesa dei conti è stato il taglio dei costi, soprattutto dei costi del lavoro, che però si è rivelato insufficiente a fronteggiare la crisi. La discesa dei ricavi è stata infatti molto più marcata e veloce della discesa dei costi e la differenza tra queste due voci si è mantenuta quasi costantemente negativa, come del resto il risultato netto. Per arginare la caduta, Napoletano ha spinto fino all’inverosimile la vendita del quotidiano digitale, con il sistema delle cosiddette copie multiple offerte in blocco a grandi clienti a prezzi scontati.

Di queste copie digitali multiple Il Sole 24 Ore è riuscito a piazzarne 109.500 a grandi aziende e grandi banche, finché nel 2016 la Accertamenti diffusione stampa, la società che certifica la tiratura e la vendita dei giornali, non decide di sospenderne la rilevazione, eliminandole dal conteggio delle vendite, in quanto considerate un fattore di distorsione del mercato. Napoletano ha anche battuto la strada dei giornali “verticali” on line (enti locali, condominio, lavoro, diritto, sanità, scuola, edilizia e territorio) e di alcuni canali tematici (lusso, casa, moda) veicolati attraverso il sito internet del quotidiano. Ma oggi, in talune di queste iniziative, le notizie più seguite registrano visite giornaliere di poche migliaia di lettori, quando non di poche centinaia: il dato emerge dal sistema interno al Sole 24 Ore che conteggia il numero di utenti dei pezzi più frequentati del sito.

Per evitare il collasso dei conti, il Cda guidato da Benedini e Treu ha poi imboccato la strada delle dismissioni, cedendo le attività che erano state acquisite a cavallo della quotazione dal precedente consiglio. Il gruppo aveva subito tra il 2007 e il 2008 una trasformazione profonda, investendo molte decine di milioni in attività come Esa Software, estranee all’editoria, e in società come Gpp, poi trasformata in Business media, estranee al settore dell’economia.

Il Sole 24 Ore era divenuto in quegli anni un piccolo conglomerato. Il ragionamento che aveva spinto Confindustria in questa direzione scaturiva da una visione monopolistica dell’informazione economica. L’idea che il Sole 24 Ore fosse divenuto una vacca da mungere e che i futuri utili dovessero arrivare da attività diversificate aveva contagiato l’azienda a tutti i livelli. Nel 2013 è Benedini stesso ad ammetterlo: “Il Gruppo 24 Ore ha eccellenti potenzialità, ma presenta anche lacune” in quanto “la politica di acquisizioni degli anni passati non ha dato risultati favorevoli… Nel passato si è perso troppo tempo non sviluppando adeguatamente nuovi prodotti e nuove tecnologie e ora non siamo più in grado di essere competitivi“.

Per tamponare le falle del bilancio, Benedini e la Treu avviano un piano di dismissioni. Prima viene venduta Esa Software, che determina un incasso di circa 100 milioni, poi il ramo d’azienda Business media, che genera forti perdite, e nello stesso tempo si cercano acquirenti per i centri stampa di Milano e Carsoli. La dismissione di Business media (curata da Mediobanca) è prioritaria, altrimenti il gruppo dovrebbe sborsare “circa 10 milioni di euro per la messa in mobilità del personale” con il rischio di creare “turbolenze sindacali”. Inoltre, sulla società in vendita gravano costi impropri che, come spiega la Treu al consiglio, “dovrebbero essere ricollocati a carico del Sole 24 Ore nella misura di circa 3,2 milioni annui”.

Della prima manifestazione d’interesse per Business media si discute nel Cda del 17 settembre 2013. Proviene dal gruppo Lswr, che ha presentato un’offerta preliminare di 4,6 milioni in 48 rate mensili a decorrere dal 1° gennaio 2016, ma a condizione che il capitale circolante netto si mantenga sui 4 milioni. Un’altra offerta è “espressa da Bv multimedia, società di Roberto Briglia e Gianni Vallardi“, l’ex direttore generale del Sole 24 Ore costretto a lasciare il gruppo nel febbraio 2012 dopo essersi scontrato con Napoletano sul taglio delle copie omaggio del giornale.

L’offerta di Bv multimedia, però, “non prevede alcun pagamento a favore del Sole ed è condizionata all’esistenza di un capitale circolante di 2 milioni”. Poi all’improvviso il 13 novembre Benedini annuncia al Cda che “è pervenuta un’offerta alternativa di acquisto dall’editore Tecniche nuove” con il quale il 16 dicembre il gruppo formalizza un accordo di cessione “avendo rilevato che Lswr non offriva garanzie di continuità aziendale a causa della sua debolezza economico-finanziaria”. Mistero. E c’è anche un non trascurabile particolare: Lswr avrebbe pagato moneta sonante; Tecniche nuove offre invece un prezzo simbolico di un euro e per di più ottiene una dote finanziaria di 10 milioni impegnandosi in cambio “a non ridurre il personale trasferito per un periodo di 12 mesi”.

Fallisce invece la trattativa per i centri stampa. La motivazione che Benedini illustra al Cda del 13 novembre è che gli acquirenti chiedono come contropartita un contratto d’appalto quinquennale per la stampa del Sole 24 Ore, il cui onere supererebbe il vantaggio della vendita. In realtà la vendita dei due stabilimenti con i suoi oltre 600 dipendenti solleva preoccupazioni di natura sindacale ed è il direttore del personale, Edoardo Zecca, a spiegarlo chiaramente durante la riunione.

Come annota nel verbale il segretario generale del consiglio, “il dottor Zecca riferisce delle caratteristiche delle organizzazioni sindacali dei poligrafici, che ritiene dotate di sviluppata capacità di reazione”. E poco oltre: “Con l’assenso dei partecipanti fa ingresso l’ingegner Borgarelli, direttore tecnico dei centri stampa, il quale riferisce che negli stabilimenti di Milano e Carsoli sono stampate 130mila copie del quotidiano; aggiunge che la chiusura di uno dei due stabilimenti nel caso di una riduzione delle vendite determinerebbe difficoltà nella distribuzione“. Traduzione: i poligrafici, a differenza dei giornalisti, sono combattivi; la cessione dei centri stampa rischia di compromettere la pace sindacale interna.

Nel frattempo i problemi del Gruppo 24 Ore si sono incancreniti: dei 1.250 dipendenti, oggi la metà è considerata di troppo da Confindustria, e l’aumento di capitale di cui si discuteva sotto traccia già nel 2014 è divenuta una necessità impellente per abbattere le perdite, ricostituire i mezzi propri ed evitare l’irreparabile. Ammesso che il nuovo consiglio d’amministrazione presieduto da Giorgio Fossa e la Confindustria guidata da Vincenzo Boccia riescano a trovare l’unità necessaria ad attuare un piano industriale capace di riportare l’azienda in bonis.

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