a cura dello Studio Legale Campanelli
Il notaio – proprio in funzione del ruolo che svolge – deve garantire la terzietà rispetto all’atto da rogitare. Quindi è legittima la sanzione a carico del professionista che ha proceduto al rogito avendo prestato una fideiussione di due milioni di euro a una società coinvolta nell’atto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: ORILIA LORENZO
Ha pronunciato la seguente:
Sentenza n. 26369 dep. il 20 dicembre 2016
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Bologna, con ordinanza 22.10.2015, ha respinto l’impugnazione proposta dal notaio Umberto Zio contro la decisione 4.12.2012 della Commissione Regionale di Disciplina, che lo aveva ritenuto responsabile delle violazioni di cui agli artt. 747 lett. a) e 28 della legge notarile applicandogli, per la prima violazione, la sanzione pecuniaria di C. 10.000,00 (con le attenuanti) e per la seconda la sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi.
Al notaio era stato contestato di avere prestato, in violazione del principio di terzietà, due fideiussioni bancarie del valore di oltre un milione di euro ciascuna a favore della società Mascella Building Group srl (art. 147 lett. a legge notarile) e di avere indebitamente ricevuto in situazione di interesse alcuni atti (due compravendite, due contratti di mutuo e una apertura di credito in conto corrente) che riguardavano proprio la società da lui personalmente garantita con le citate fideiussioni (in violazione dell’art. 28 n. 3 legge notarile).
La Corte territoriale ha motivato il rigetto dell’impugnazione ritenendo che i fatti addebitati integravano pienamente gli illeciti previsti dalle norme citate ed osservando in particolare (guanto all’indebita ricezione di atti) che l’Interesse tutelato dall’art. 28 della legge notarile è un interesse esterno all’atto, da valutarsi ex ante. Secondo la Corte d’Appello, tale disposizione mira a tutelare la posizione di terzietà del notaio e nel caso in esame, il dott. U.Z., avendo prestato le fideiussioni a favore della società, era da ritenersi senz’altro interessato alle modificazioni patrimoniali che la stessa andava a ricevere per effetto degli atti stipulati, come dimostrato proprio dalle valutazioni preventive da lui compiute sulle iscrizioni ipotecarie.
Quanto all’altro illecito disciplinare ascritto (cioè la violazione dell’art. 147 lett. a per l’avvenuto rilascio di due fideiussioni), la Corte di merito ha osservato che le attenuanti erano state concesse per una sorta di incertezza sulla causa che aveva indotto l’incolpato al rilascio delle garanzie per cui non si ravvisava nessuna contraddittorietà nella decisione, mentre invece la prestazione delle fideiussioni contrastava certamente con i principi che devono regolare lo status del notaio. Il dott.Umberto Zio propone ricorso per cassazione con quattro motivi a cui resiste con controricorso illustrato da memoria il Consiglio Notarile di Forlì.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Preliminarmente va respinta l’istanza di rinvio dell’odierna udienza camerale avanzata dal difensore del ricorrente per “concorrenti ed inderogabili impegni professionali precedentemente assunti” e sulla quale il Pubblico Ministero si è espresso in senso sfavorevole.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà generalmente consentita dall’art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza (Sez. U, Ordinanza n. 4773 del 26/03/2012 Rv. 621382; Sez. l, Sentenza n. 19583 del 27/08/2013 Rv. 627728; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22094 del 17/10/2014 Rv. 632913).
Aggiungasi che anche la legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) prevede all’art. 14 la facoltà per l’avvocato di farsi sostituire.
Nel caso di specie l’istanza di rinvio è motivata solo apparentemente perché non indica quali fossero gli impegni assunti in precedenza, perché non si e ritenuto di spostarli e, soprattutto, perché non si e fatto ricorso alla nomina di un sostituto.
1.2 Ciò premesso e passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 28 n. 3 della legge n. 89/del 16 febbraio 1913 in relazione all’art. 360 n.3 cpc. In ordine alla contestazione riguardante la stipula di atti riguardanti la società Mascella Building Group srl il ricorrente reputa inappropriato il richiamo alla giurisprudenza citata dalla Corte d’Appello, osservando che nel caso in esame le fattispecie sono diverse.
Nega di essersi interessato alle vicende societarie e di avere compromesso la sua neutralità professionale. Ritiene illogica la decisione della Corte d’Appello e propone una diversa interpretazione dei casi di irricevibilità alla luce delle concrete possibilità di ingerenza. La censura è priva di fondamento. L’art. 28, n. 3, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, fa divieto al notaio di ricevere o autenticare atti che contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie o alcuno dei suoi parenti od affini suoi parenti od affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale fino al terzo grado, o persone delle quali egli sia procuratore.
Nell’elaborazione di questa Corte si è affermato come tale disposizione sia posta a presidio della terzietà del notaio, garantendo la tutela anticipata dell’imparzialità e della trasparenza della sua attività, sicché la valutazione dell’esistenza di un interesse personale del rogante, o degli altri soggetti che sono indicati nella norma, va effettuaLa “ex ante”, in termini di mera potenzialità o pericolosità, senza che rilevi se le parti abbiano in concreto ricevuto o meno un danno dall’atto rogato (Sez. 2, sentenza n. 25547 del 18/12/2015 Rv. 638190; Sez. 2, Sentenza n. 26848 del 29/11/2013 Rv. 629214; Sez. 3, Sentenza n. 7028 del 23/05/2001 Rv. 546920; Sez. 3, Sentenza n. 11497 del 01/09/2000 Rv. 539935). E’ stato altresì osservato (v. Sez. 2, sentenza n. 25547/2015 cit.) che la difficoltà di interpretazione dell’art. 28, n. 3, della Legge notarile è evidentemente collegata proprio alla portata della nozione di “interesse” che leghi il notaio alle disposizioni contenute nell’atto da stipularsi a suo ministero. L’obbligo di imparzialità del notaio, tale da imporgli di mantenere una posizione di equidistanza rispetto ai diversi interessi delle parti e di ricercarne una regolamentazione equilibrata e non equivoca, viene esplicitato anche nei Principi di deontologia professionale emanati dal Consiglio Nazionale del Notariato, ma non si esaurisce, evidentemente, in mero criterio di esercizio della professione notarile, essendo posto dalla legge, piuttosto, quale limite esterno della medesima funzione. Le elaborazioni dottrinali hanno per lo più prescelto un’ampia accezione del concetto di «interesse», al punto da comprendervi l’interesse materiale, l’interesse soltanto morale, l’interesse diretto negoziato nell’atto come quello indiretto, l’interesse anche potenziale all’atto, il collegamento con situazioni esterne allo stesso, l’inerenza al notaio delle disposizioni da stipulare pure non in termini di necessario vantaggio per il professionista.
Deve, in ogni caso, trattarsi di interesse sussistente, e perciò da verificare, al momento dell’atto, traducendosi in motivo di irricevibilità dello stesso; e deve altresì essere interesse risultante dall’atto. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che il notaioUmberto Zio, dopo avere rilasciato una prima fideiussione in favore della società Mascella, ha rogato in data 30.10.2008 una compravendita ed un mutuo in cui era parte la società da lui garantita ed ha poi stipulato altri tre atti (il 2.12.2008 e il 14.1.2010) con la medesima società dopo avere concesso una ulteriore fideiussione sempre in favore della stessa.
E sulla base di tale ricostruzione, condividendo il giudizio della COREDI, ha ravvisato la violazione dell’art. 28 n. 3 della legge notarile, ritenendo sussistente l’interesse personale del notaio alle sostanziali modificazioni (non inmporta se favorevoli o sfavorevoli) che il patrimonio della società riceveva per effetto dei tre finanziamenti e dei due acquisti immobiliari, a nulla rilevando la preventiva valutazione fatta dal notaio circa la possibilità di stipulare quegli atti.
Anzi, secondo la Corte d’Appello proprio la valutazione preventiva delle possibili conseguenze degli atti da rogare dimostrava indirettamente la sussistenza di quell’interesse che la norma violata intende evitare (v. pagg. 7 e 8 provvedimento impugnato). L’affermazione appare in linea con la citata giurisprudenza di questa Corte sulla portata del divieto di cui all’art. 28 n. 3 della legge notarile e sulla natura dell’interesse tutelato e pertanto può affermarsi che costituisce illecito disciplinare per violazione del divieto previsto dall’art. 28, n. 3, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, il comportamento del notaio consistente nella stipula di atti di compravendita, di mutuo e di apertura di credito in cui sia parte una società a favore della quale lo stesso notaio abbia prestato precedentemente fideiussione.
2 Con un secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 147 lett. b legge notarile e 30 dei Principi di Deontologia Professionale dei Notai approvati dal Consiglio Nazionale di Notariato (con delibera n. 2/56 del 5 aprile 2008), addebitandosi alla Corte d’Appello di avere errato nel ritenere la irricevibilità di quegli atti, dovendosi ritenere sussistente, al più, una ipotesi di astensione.
Secondo il ricorrente sussisteva un mero sospetto di interesse, come tale inidoneo a ledere il prestigio della classe notarile.
Questo motivo è anch’esso privo di fondamento. L’articolo 147 lett. b punisce il notaio che “viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato- e l’art. 30 dei Principi di deontologia professionale dei notai disciplina l’astensione disponendo che “oltre a guanto previsto dalla legge per i casi di irricevibilità degli atti, 11 notaio deve astenersi dal prestare 11 proprio ministero quando dell’atto siano parte società di capitali o enti del quali egli sia amministratore, anche senza rappresentanza, o rivesta la qualità di componente di Collegio Sindacale o di organi di sorveglianza e controllo, ovvero sia unico socio o titolare del pacchetto di maggioranza della società“.
Ora, a parte il rilievo che nel caso di specie il notaio Umberto Zio non rivestiva alcuna carica all’interno della società Mascella né tantomeno risulta che fosse socio, va osservato che la formulazione della norma deontologica non pone affatto un rapporto di alternatività tra l’astensione e l’irricevibilità, ma anzi fa salva la disciplina dell’irricevibilità, come emerge chiaramente dal dato testuale.
La censura, pertanto, non coglie nel segno.
3 Violazione dell’art. 147 lett. a) della legge notarile: questo il terzo motivo, con cui il ricorrente, riferendosi al rilascio delle due fideiussioni bancarie, invoca lo spirito amicale che lo aveva indotto al rilascio delle garanzie e non già l’intento commerciale. Il motivo è anch’esso infondato. La norma punisce il notaio che “compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o 11 decoro e prestigio della classe notarile”.
Essa configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonché il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (Sez. 2, Sentenza n. 17266 del 28/08/2015 Rv. 636221).
Si tratta di fattispecie disciplinare a condotta libera, all’interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l’interesse tutelato, il che si verifica ogni qual volta si ponga in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico (Sez. 2, Sentenza n. 1437 del 23/01/2014 (Rv. 629437, in motivazione; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 21203 del 13/10/2011 Rv. 620006)).
La Corte d’Appello a pagg. 9 e 10, in merito al rilascio delle due fideiussioni, ha condiviso il giudizio della COREDI sulla avvenuta compromissione della dignità, reputazione decoro e prestigio della classe notarile, sottolineando la “commistione tra l’esercizio della funzione notarile e lo svolgimento di attività negoziali che, seppur di per sé non illecite, lo divengono allorché vengano compiute dal notaio, al quale, non solo è precluso in via di principio e per statuto professionale lo svolgimento di attività di impresa o commerciale, ma altresì vietato in particolare di creare legami di natura negoziale – commerciale con gli stessi soggetti al quali egli è poi chiamato a rendere prestazioni notarili”.
Un tale percorso argomentativo appare ancora una volta aderente ai principi delineati da questa Corte sulla portata dell’illecito di cui all’art. 147 lett. a) e pertanto si sottrae alla censura, tipicamente in fatto e, come tale, finalizzata ad una alternativa ricostruzione dei fatti, non consentita nel giudizio di legittimità.
Può quindi affermarsi l’altro principio secondo cui commette illecito disciplinare di cui all’art. 147, lett. a), della legge n. 89 del 1913 il notaio che presta fideiussioni bancarie di rilevante importo a favore di società, esponendosi così a pretese creditorie analoghe a quelle rivolte ad un imprenditore e creando in tal modo legami di natura negoziale – commerciale con gli stessi soggetti ai quali è poi chiamato a rendere prestazioni notarili. 4 Resta da esaminare il quarto ed ultimo motivo con cui si deduce la violazione dell’ art. 147 lett. a) della legge notarile rilevandosi la contraddittorietà tra il diniego delle attenuanti in relazione alla violazione di cui all’art. 28 (indebita ricezione di atti) e la concessione invece disposta in relazione all’altra violazione (quella di cui all’art. 147 1.n. (prestazione delle due fideiussioni).
Sottolineando la propria incensuratezza, il ricorrente invoca il principio di proporzionalità della sanzione. Il motivo è privo di fondamento al pari degli altri. E’ bene chiarire subito che nel procedimento disciplinare a carico dei notai, la mancata concessione delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che può concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione, ai fini della quale non è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’incolpato, essendo sufficiente la giustificazione dell’uso del potere discrezionale con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 11790 del 27/05/2011 Rv. 618160; Sez. 3, Sentenza n. 2138 del 25/02/2000 Rv. 534402).
Nella fattispecie all’esame della Corte, il diniego delle attenuanti in relazione alla violazione dell’art. 28 n. 3 (indebita ricezione di atti) e stato giustificato dai giudici di merito in considerazione sia della mancanza degli estremi in relazione all’art. 144 sia della gravita della condotta, precisandosi che, come già evidenziato dalla COREDI, in relazione all’altro illecito contestato (riguardante la prestazione delle due fideiussioni in violazione dell’art. 147 lett. a), le attenuanti erano state invece riconosciute “in ragione del permanere di una incertezza sulla genesi della vicenda che aveva portato il notaio a prestare le garanzie personali”.
Una tale argomentazione, lungi dall’apparire contraddittoria, appare del tutto adeguata nel dare conto del diniego delle attenuanti per una delle due condotte, quella ritenuta più grave e su cui la Corte di merito pure si era diffusamente soffermata. Lo standard motivazionale richiesto è stato dunque rispettato e la censura perde ogni consistenza. In conclusione, il ricorso va respinto e il ricorrente, per il principio della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Considerato inoltre che il ricorso per cassazione e stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell’art. l, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilita 2013), che ha aggiunto il comma l -quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n 115 — della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi C. 5.200,00 di cui C. 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma l – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art.1,comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 14.9.2016.