di Ruben Razzante*
La giustizia può sbagliare, i giudici sono esseri umani ed è per questo che il sistema giudiziario prevede tre gradi di giudizio affinché possa esserci la dovuta ponderazione prima di una sentenza che rischia di mettere in gioco la libertà personale e la dignità di un imputato. Questo sacrosanto principio in Italia si depotenzia un po’, sia per i numerosi casi di giustizia politicizzata – peraltro ammessi nei giorni scorsi dallo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando – sia per la piaga dei cosiddetti “processi mediatici”.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una successione di assoluzioni di personaggi politici accusati di vari reati e sottoposti a quella che comunemente viene definita gogna mediatica. Alemanno, Bertolaso, De Luca, Podestà e, da ultimo,Marino e Cota: tutti esponenti di primo piano, ai vertici di città-capoluogo o di province o di regioni, prima costretti a uscire di scena, ora scagionati da ogni addebito. Solo il governatore campano De Luca è ancora in sella, peraltro in un ruolo di maggiore responsabilità istituzionale (all’epoca dei fatti contestatigli 18 anni fa era sindaco di Salerno). Si tratta di vicende giudiziarie assai diverse l’una dall’altra, anche per colore politico, ma accomunate da un elemento tutt’altro che irrilevante: il cortocircuito tra le inchieste e la mediatizzazione dell’attesa di una sentenza, che si è trasformata negli anni in un calvario mediatico.
In un momento in cui il governo Renzi sembra aver accantonato i buoni propositi di mettere mano alla riforma della giustizia perché teme di non avere il consenso necessario per condurla in porto, storie come quelle di Marino, De Luca, Bertolaso o Cota ci confermano quanto siano a rischio le nostre libertà democratiche, tra cui il diritto sacrosanto di non rimanere illimitatamente stritolati nel tritacarne mediatico per poi uscirne puliti ma devastati umanamente e sul piano reputazionale.
I più importanti quotidiani italiani spesso si trasformano in plotoni d’esecuzione, gli studi televisivi in ring dove si combattono veri e propri incontri di “pugilato verbale” tra innocentisti e colpevolisti. Sono i cosiddetti “processi mediatici”, vietati da un codice di autoregolamentazione proposto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e sottoscritto nel maggio 2009 da tutte le emittenti radiotelevisive, dall’Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi e da tutti i soggetti coinvolti nella filiera informativa.
Nessuno, però, lo fa rispettare e nessuno si indigna di fronte alla devastazione mediatica della dignità dei soggetti indagati o imputati. L’assoluzione dei tribunali diventa una magra consolazione per quanti hanno visto distrutta, nel frattempo, la propria immagine pubblica a causa di una vera e propria barbarie mediatica.
- docente diritto d’informazione