di REDAZIONE POLITICA
Sergio Mattarella ha scelto con Draghi la migliore soluzione per il Paese e forse anche l’ultima a disposizione. Quella di portare affidare la guida del Governo a Mario Draghi è stata una scommessa vinta sui partiti che ieri sera hanno ascoltato il presidente del Consiglio sciorinare la lista dei ministri apprendendola per la prima volta dalla televisione. Un governo che ha sconfessato i soliti appetiti politici e le pretese dei soliti saltimbanco della politica italiana.
La squadra di governo è un gruppo dal tratto comune: l’europeismo e la moderazione. Draghi si tiene stretta la gestione dei 209 miliardi del Recovery Plan. La caratteristica si coglie soprattutto nella scelta degli esponenti di Lega e FI, ma emerge anche nei nomi del M5S. Scelti uomini e donne del dialogo, come D’Incà e la Carfagna, ma anche con la scelta di Garavaglia, Gelmini, Giorgetti e Patuanelli. Nessun estremista propense alle risse di Palazzo , ma persone gente predisposte al confronto. Requisiti questi molto importanti in politica soprattutto quando la situazione costringe a far sedere allo stesso tavolo esponenti di partiti molto diversi, alcuni cresciuti a suon di “vaffa”, altri trasfigurati nel tempo.
Le ragioni dell’ incarico a Mario Draghi spiegate una decina di giorni fa dal presidente della Repubblica, sono adesso sul tavolo del nuovo consiglio dei ministri. Draghi potrà contare sul pieno sostegno del Quirinale, ma è altresì importante anche del consenso dell’ampia maggioranza che lo sostiene augurandosi resti compatta nel tempo.
La scelta coraggiosa e doverosa Mattarella l’ha adottata proprio nell’ultimo anno del suo mandato quando era ormai sin troppo evidente che i partiti avevano esaurito delle possibilità di intese e maggioranze politiche in un momento delicato e difficile per il Paese. Mattarella ha elencato i motivi nel suo discorso di dieci giorni fa quando ha incaricatpo dell’ex presidente della Bce ponendo una serie di paletti alle forze politiche.
Nei giorni successivi tutti i partiti hanno cercato di rimuovere quei paletti cercando di porre dei rispettivi veti nella speranza di recuperare quella centralità seppur non prevista nella Costituzione, di cui si erano impossessati in occasioni analoghe. Draghi ha lavorato in silenzio per una decina di giorni, senza annunci sui socialnetwork come il suo predecessore Conte, potendo contare su uno stretto rapporto con il Capo dello Stato che è riuscito a mantenere in due ministeri chiave, cioè Difesa e Interni, i due due ministri Guerini e Lamorgese che di espressione del capo dello Stato Mattarella.
E’ stato bello assistere giornalisticamente al disorientamento dei partiti, che sino all’annuncio della salita di ieri di Mario Draghi al Quirinale brancolavano completamente nel buio ignorando la lista dei ministri, dovendo accettare e subire i poteri dei due presidenti ai quali la Costituzione affida il compito di proporre (Draghi) e di nominare (Mattarella) i componenti del nuovo Governo, con l’ampio esercizio dei poteri costituzionali nell’ultimo anno di mandato, anticipando tempestivamente l’inizio del semestre bianco che ne limita alcuni e decisivi.
E stato così che Mattarella ha messo in salvo il Paese contribuendo a comporre una squadra al cui interno ci sono risorse potenzialmente spendibili anche per il dopo Draghi. Dalla lettura dei nomi emerge una lieve continuità con il precedente esecutivo allargatosi con l’ingresso del ministri della Lega e Forza Italia. Un nuovo consiglio dei ministri più politico di quanto ci si aspettava che prova a forzare con la coesione l’evoluzione di alcune forze politiche.
Con la scelta dei tre ministri dem, Orlando, Franceschini e Guerini, il premier Draghi ha salvato senza volerlo anche la leadership a via del Nazareno di Nicola Zingaretti assicurandosi contestualmente che nel Pd non inizi a spirare subito il pericolosa vento pre- congressuale che certamente non aiuta chi siede a Palazzo Chigi.
Il Movimento 5 Stelle ha confermato Di Maio agli Esteri, ottenendo altri tre ministeri, dovendo accettare e subire in silenzio non solo l’ arrivo di Vittorio Colao (maltrattato dall’ ex-premier Conte che soffriva l’autorevolezza del topmanager) , ma anche quello del magistrato Roberto Garofoli nominato sottosegretario a Palazzo Chigi , che nel recente passato era stato uno dei bersagli preferiti dai “grillini” (con Rocco Casalino in prima fila) nei governi Renzi e Gentiloni.
Con la scelta di quattro super ministri-tecnici cioè Franco al Mef, Colao al Digitale, Cingolani al Green e Giovannini alle Infrastrutture) e la delega agli Affari Europei rimane a Palazzo Chigi, e quindi Draghi ha mantenuto di fatto sotto di se il controllo del Recovery Plan anche nel caso dovesse cedere ad un sottosegretario la delega europea.
E’ il Veneto la regione a farla da padrone con quattro ministri, ma soprattutto costituisce un forte segnale il cambio al vertice degli Affari regionali dove va a casa il pugliese Francesco Boccia e gli subentra la lombarda Maria Stella Gelmini alla quale spetterà adesso gestire le mediazioni anche con gli scalpitanti governatori del Nord, tutti di centrodestra, sulle chiusure e zone rosse per la lotta al Covid.
Assegnato ad una donna meridionale, Mara Carfagna, il ministero del Sud. Ma sopratutto accolta con grande soddisfazione l’epurazione di Bonafede dal Ministero di Giustizia e la contestuale depoliticizzazione del dicastero, con l’annuncio previsto arrivo di Marta Cartabia, che rappresenta un forte importante segnale per elevatezza e competenza in vista della riforma della giustizia civile tanto attesa dall’Europa.
Significativo il ritorno al tavolo del consiglio dei ministri di Palazzo Chigi di Renato Brunetta, il veneto più “antisovranista” di Forza Italia, che invocava e spingeva da un paio d’anni per l’arrivo di Mario Draghi alla guida del governo .
Matteo Renzi, il principale artefice della svolta politica nella maggioranza di Governo , e delle dimissioni dell’ormai ex-premier Conte, vede dimezzati i ministri di Italia Viva, ma secondo fonti abbastanza attendibili dotrebbe recuperare con vice ministri e sottosegretari.
L’ex Guardasigilli e vicepremier dell’ultimo Governo Andreotti, Claudio Martelli, già vicesegretario vicario del PSI di Bettino Craxi, ha così commentato la formazione del nuovo esecutivo Draghi: ” Nasce un Governo di unità nazionale. Un Governo molto politico con una robusta nervatura di tecnici di qualità guidato dall’italiano più rispettato al mondo perché, insieme con l’euro, ha già salvato una volta l’Italia. Bravo Mattarella, buona navigazione a Mario Draghi“