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22 Novembre 2024 08:44

Taranto, rilancio sì ma senza fare utopia

di Marcello Cometti

Ridisegnare il proprio volto e il proprio destino. Taranto sembra spasmodicamente alla ricerca di una propria nuova identità, una sorta di ricollocazione nel tempo e nello spazio dopo l’ubriacatura collettiva della grande industrializzazione e il successive, doloroso risveglio. Il dibattito è più aperto che mai, e nell’implacabile scontro fra apocalittici («no» totale all’industria) e integrati («sì» a un’industria ambientalmente compatibile) c’è il rischio di prestare il fianco a fragorose perdite del buonsenso comune. Perchè un conto è ipotizzare scenari alternativi, e un conto – ben diverso – è veleggiare nel regno dell’utopia.

Il Museo Guggenheim a Bilbao

CdG bilbao_museo_guggenheimA proposito di utopia. Nei giorni scorsi s’è tornato a citare il modello-Bilbao come fonte d’ispirazione per Taranto. Il modello-Bilbao (sulla «Gazzetta» ne abbiamo parlato diverse volte, a cominciare dal 19 marzo 2011: «Una città incapace di ripensare il proprio futuro») è esemplare rispetto al modo in cui una intera comunità si è ribellata al declino del proprio core-business industriale (inquinante) scegliendo la strada della «smart city» e del polo culturale di attrattiva internazionale. Ma non si possono non ricordare e mettere in conto alcune cose quando parlando di Taranto si evoca Bilbao, tutte cose fondamentali per comprendere come non basti citare una buona prassi di riqualificazione urbana per ipotizzarne pedissequamente una sorta di automatico «copia-e-incolla»: a diferenza di Taranto, Bilbao ha 350mila abitanti (950mila calcolando tutta l’area urbana); ha un aeroporto internazionale; ha risorse finanziarie cospicue rivenienti dall’autonomia della Regione basca; ha ottenuto nel 1996 la sede dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro; ha commissionato nel 1995 la sua linea di metropolitana a sir Norman Foster; e nel ’97 Fondazione Guggenheim e Autorità Basca la scelsero come sede del Museo Guggenheim, un capolavoro dell’arte moderna, progettato da Frank O. Gehry. Un «mostro» da 150 milioni di euro di investimento e un milione di visitatori l’anno.

Certo, non c’è solo Bilbao, e non c’è solo l’investimento sulla cultura. Vi sono, ad esempio, svariate città che hanno scelto la risorsa-mare per rilanciarsi o rafforzarsi. Genova e Lisbona, ad esempio, ospitano i due più grandi acquari d’Europa. Quello di Genova è sorto grazie alla sinergia fra Costa Edutainment, Costa Parchi spa., Comune, Provincia e Università; ha 70 vasche più quattro enormi padiglioni riservati ai delfini, e nel 2013 ha totalizzato un milione di visitatori. L’Oceanario di Lisbona sorge invece nel Parque das Nacoes, il luogo che ospitò l’Expo del 1998; è costato 80 milioni di euro, ha vasche per complessivi 8 milioni di litri d’acqua, e registra anch’esso un milione di visitatori l’anno. Numeri enormi, ancora utopie se paragonate alla dimensione di Taranto, che dispone di un interessante Museo Oceanografico (quello dell’Istituto Talassografico-Cnr) purtroppo chiuso alla fruizione regolare del pubblico e visitabile solo su appuntamento. Meglio sarebbe allora orientarsi su strutture più piccole, e magari ad esse ispirarsi: come ad esempio l’Oceanopolis di Brest – la cittadina bretone gemellata proprio con Taranto – che ha 68 vasche per un totale di 4 milioni di litri d’acqua, e che nei suoi 24 anni di vita ha registrato 10 milioni di visitatori.

CdG mar.taEppure, mare a parte, resta forte la suggestione della Taranto città di cultura antica e profondissima, ancora incapace di attrarre masse consistenti di visitatori col suo pregevolissimo Museo della Magna Grecia, oggi ribattezzato MarTa, del quale peraltro siamo ormai da decenni in attesa di poterne apprezzare la sistemazione definitiva. Anche la cultura è un volàno potente capace di cambiare il volto di una città. Non c’è solo l’esempio mastodontico e i numeri-monstre del Guggenheim di Bilbao. Basterebbe rifarsi alla rivoluzione compiuta a Rovereto dal Mart, il museo di arte moderna e contemporanea fortemente voluto dalla Provincia di Trento nel 1987 e poi collocato appunto a Rovereto nel 2002, con una media annua di oltre 200mila visitatori.

anima_313297Ed è proprio di questi giorni la notizia che il Comune di Grottammare (provincia di Ascoli Piceno, appena 15mila abitanti), insieme alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli, ha commissionato il progetto «Anima» all’archistar staunitense Bernard Tschumi, studio a New York sulla 17.ma strada. L’opera nasce con l’obiettivo di favorire «l’identificazione del territorio e connotare la sua imagine» attraverso la realizzazione di un polo pubblico, di attrazione per le più eterogenee manifestazioni della cultura. Il nome dell’opera, «Anima», nasce da una consultazione pubblica ed è un acronimo: A come Arti, N come Natura, I come Idee, M come Musiche, A come Azioni. Sono le «cinque anime» del progetto, che l’architetto ha interpretato come un’identità in divenire. La struttura di 10.000 metri quadri ospiterà un mix di programmi di eventi, mostre e workshop, con un layout organizzato intorno all’ampio atrio centrale.

Dall’esterno, la struttura appare chiusa in un solido quadrato, mentre le facciate impermeabili lasciano intravedere l’uso di diversi linguaggi e molteplici modelli. Quattro cortili distinti circondano una sala principale che ruota su se stessa, con 1500 posti a sedere. Superate una serie di pastoie burocratiche (del resto, siamo in Italia, no?) la Fondazione Carisap individuerà, a febbraio 2015, l’impresa, o il raggruppamento di imprese, con cui definire tutti gli adempimenti necessari alla realizzazione dell’opera. A luglio 2015 aprirà il cantiere e la previsione è che tutto possa essere concluso al massimo a inizio 2018. 

Idee a portata di mano, insomma, senza andare troppo lontano e senza imbarcarsi sulle acque procellose dei sogni utopici. Cosa serve? Idee, sicuramente; voglia di volare alto; e risorse. Risorse che possono giungere non necessariamente dalle finanze pubbliche, anche se arriverà il giorno in cui qualcuno si ricorderà di risarcirci l’immane danno ambientale e sanitario che Taranto ha dovuto sopportare per sostenere le magnifiche sorti e progressive dell’industria pesante. Le risorse, come s’è visto negli esempi citati, possono giungere anche da altri canali: Fondazioni, istituti di credito, un pool di privati.

Possibile che davvero nessuno abbia più voglia di scommettere su questa bella e sfortunata città?

* commento pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno

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