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22 Dicembre 2024 03:29

Terzo Polo: “No a frettolosa archiviazione progetto centrista”

Non sarà mai più il ritorno alla Democrazia Cristiana, lo riconosco perfino io. Ma dovrà essere il recupero di quella saggezza, di quella tolleranza, di quella capacità di mediazione che fu il lascito migliore della Dc del suo tempo. E cioè la ragione per la quale quel fantasma è così spesso evocato, ancora oggi. Il centro non è l’attualità.
di Marco Follini

Troppo facile (e forse anche un tantino ingeneroso) prendersela con Calenda e con Renzi. I quali, certo, non hanno un buon carattere, nessuno dei due. Un carattere fumantino, nervoso, fin troppo reattivo. Quel carattere che magari si addice a chi interpreta posizioni politiche più estreme, ma non si attaglia a chi vorrebbe invece disporsi a metà campo, in un luogo dove si esercitano principalmente le virtù della pazienza e della mediazione.

E’ troppo facile anche maledire la legge elettorale. Un meccanismo che favorisce le due ali, e le spinge tutte e due verso la reciproca radicalizzazione. Così che oggi tutto sembra ridursi al duello tra le due signore che governano la destra e la sinistra, e lo fanno nel nome di identità nette, risolute, perfino spinose. Identità che non lasciano troppo spazio a quei caratteri più complicati e problematici che rimandano alle virtù (e alle astuzie) tipiche delle vie di mezzo di una volta.

Ora dalle meste cronache degli ultimi giorni si vorrebbe trarre la conclusione –quasi un dogma- che per quelle vie di mezzo non c’è futuro. Né come astuzia, né come virtù. Così l’idea stessa del centro viene ormai messa al bando. Dopo un cinquantennio in cui un grande partito centrista è stato il motore immobile della vita repubblicana. E dopo un altro ventennio abbondante in cui gli eredi del centrismo che fu si sono prodigati per stemperare gli eccessi di un bipolarismo che aveva assunto tratti quasi selvatici nel nome della reciproca delegittimazione. Berlusconi contro i comunisti, e niente e nessuno a fare da spartiacque a quel duello rusticano che sembrava esagerato anche a quanti lo praticavano con una sorta di reciproco e quasi compiaciuto furore.

In effetti lo spazio che resta a mezza via, negli interstizi tra il governo e l’opposizione, tra Meloni e Schlein, sembra a questo punto ridotto a poca cosa. Omaggio a un’opinione pubblica che mal sopporta il barcamenarsi, il dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Si potrebbe concludere che l’argomento è concluso, e che risulta vano ogni tentativo di coltivare quei territori che pure per molti, molti anni sono stati i luoghi nei quali la sapienza politica del paese ha dato il meglio di sé.

Resta il fatto però che questa frettolosa archiviazione del centrismo non ha fatto bene neppure ai protagonisti laterali che pure ne hanno, almeno fin qui, elettoralmente beneficiato. E’ vero, Meloni ha guadagnato numeri e seggi più che cospicui. E Schlein a sua volta sta forse risalendo la china sdrucciolevole degli ultimi mesi. Per giunta il loro reciproco antagonismo, così fiero, quasi indomito, il loro stesso culto delle loro identità contrapposte può portare fortuna all’una e all’altra. Ma tutte e due appaiono alle prese con un problema più grande di loro. E cioè col fatto che a ogni elezione il numero dei votanti diminuisce a vista d’occhio. Per quanto le percentuali possano essere relativamente generose, gli elettori sembrano aver intrapreso un silenzioso sciopero del voto che a lungo andare rappresenta un campanello d’allarme di cui sarebbe il caso di tenere maggior conto.

E’ qui che si intuisce il senso di un progetto centrista. Non nell’equidistanza tra due estremi -che poi tanto estremi forse non sono. Piuttosto nella coltivazione di quei caratteri politici che i due blocchi dominanti non riescono né a capire né a rappresentare. Il centro non è l’allarme per le derive altrui. Semmai è il luogo della pazienza, della temperanza. E’ il tentativo di rendere la contesa politica meno affannata e concitata. E’ la ricerca di un tempo più disteso, più riflessivo, più lungimirante. E’ la consapevolezza che nessun problema ha davanti a sé il privilegio di soluzioni troppo immediate. Semmai è la fatica di dover approntare elaborazioni che abbiano più a che vedere con la storia del nostro paese. Quella antica, e quella futura -sempre che si riesca a metterla a fuoco.

Renzi e Calenda sono leader impulsivi, e sono stati molto impulsivi anche tra di loro, reciprocamente. Hanno qualità che la disputa di questi giorni non ha certo fatto brillare. Ma la loro dimensione naturale è il tempo reale. Sta qui, se vogliamo, la loro modernità, e insieme però il loro limite. In realtà il centro avrebbe bisogno soprattutto di proporsi come un ponte tra un passato che non è così inattuale e un futuro che non può essere così frenetico. Risiede qui la sua utilità e forse perfino una sua residua possibilità.

Non sarà mai più il ritorno alla Democrazia Cristiana, lo riconosco perfino io. Ma dovrà essere il recupero di quella saggezza, di quella tolleranza, di quella capacità di mediazione che fu il lascito migliore della Dc del suo tempo. E cioè la ragione per la quale quel fantasma è così spesso evocato, ancora oggi. Il centro non è l’attualità. Dunque, deve cercare di essere la storia. O almeno, un pezzo della storia.

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