Piero Gnudi, nuovo commissario straordinario dell’ILVA, si è dato una priorità. trovare nuovi azionisti a cui affidare il rilancio dell’azienda, che è la condizione preliminare al piano industriale necessario per uscire dalla crisi. La joint-venture ArcelorMittal, è ormai pronta a passare dall’analisi dei conti del gruppo, alle trattative per constatare la distanza in termini di soldoni fra domanda ed l’offerta
Ma fra i contatti in corso vi è ampia apertura per una cordata che abbia tra gli azionisti anche imprenditori italiani, a partire dal Gruppo Marcegaglia, il Gruppo Arvedi . Da soli nessuno degli italiani avrebbe in realtà le risorse necessarie, ma in cordata possono essere della partita. Il vero problema attualmente insormontabile è che nessuno vuole pagare di tasca propria il conto necessario per il risanamento ambientale, dopo i disastri causati dalla famiglia Riva, attuale proprietaria dell’ ILVA.
ArcelorMittal e compagnia , infatti, sono disposti ad assumersi l’onere degli investimenti necessari per il finanziamento del piano industriale necessario al rilancio della produzione, scesa a livelli imprevedibili, e con perdite operativa difficili da sostenere a lungo. Sono necessari significativi interventi per la manutenzione degli impianti, per troppo a lungo rimandati dagli uomini al servizio della famiglia Riva. La massa di denaro necessaria, infatti, è quella da destinare al piano ambientale di risanamento, che nessuno può in alcun modo mettere in discussione per due motivi chiari e “blindati”: ci si deve muovere nel rispetto di nuove norme di legge , essendo stato approvato per decreto Legge, che è stato uno dei primi atti intrapresi dal governo Renzi. La seconda ragione è che la Procura di Taranto ha gli strali puntati sugli impianti siderurgici, con ispezioni in arrivo.
Ma tuttavia, alla ArcelorMittal non hanno alcuna minima intenzione di assumersene carico, ritenendo il risanamento ambientale una eredità esclusivamente del passato. E non stiamo parlando di pochi euri. Il conto effettuato su incarico dell’ex commissario Bondi, alla società di consulenza McKinsey, arriva a 1,8 miliardi di euro. Quasi 1,5 miliardi per il necessario rispetto delle prescrizioni strettamente ambientali, più circa 140 milioni per ridurre i rischi d’incidenti rilevanti e 180 di miglior efficienza energetica.
Stiamo parlando di numeri importanti, di una somma che potrà essere ridimensionata ma che comunque, resta di notevole impatto. Una concreta possibilità è che il conto ambientale lo paghi la famiglia Riva, come sembrerebbe dopo la decisione adottata dall’ultimo Consiglio dei Ministri che ha reso disponibili per il risanamento dell’ ILVA i fondi sequestrati dalla Procura di Milano. Ma in Italia nulla va dato per certo e rimane quindi il solito rischio e malcostume della politica italiana collusa ai poteri forti economico-industriali, e che alla fine, finisce che a pagare è sempre il contribuente italiano. Sino a quando ?