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24 Novembre 2024 05:03

Ultimo scontro in aula tra Italia ed India sul destino dei marò

Adesso i cinque giudici componenti la corte del  tribunale arbitrale internazionale avranno due settimane di tempo per ascoltare dai rispettivi team legali a colpi di esami balistici, referti di autopsie, testimonianze e carte nautiche, e valutare la ricostruzione dei fatti accaduti. La decisione arriverà entro sei mesi e, forse finalmente, la disputa potrà ritenersi definitivamente chiusa.

ROMA – Nella prima udienza davanti al Tribunale arbitrale internazionale dell’Aja il governo italiano ancora una volta ha rivendicato  il proprio diritto-dovere di indagare ed eventualmente giudicare i due fucilieri della Marina Militare il barese Salvatore Girone ed il tarantino Massimiliano Latorre, entrambi accusati dal governo indiano di aver ucciso due pescatori indiani al largo del Kerala il 15 febbraio 2012. “I due marò sono protetti dall’immunità di servizio davanti ai tribunali stranieri, la giurisdizione sul caso spetta a noi». In quello che dovrebbe essere l’ultimo atto dell’annosa e tortuosa controversia tra Roma e Delhi su chi debba giudicare” è in sintesi il contenuto della difesa italiana a cui si è contrapposto in aula il governo di Delhi che ha sostenuto “Le vere vittime siamo noi e i due nostri pescatori”.

A difendere le ragioni dell’Italia dinnanzi al Tribunale all’Aja è stato l’ambasciatore Francesco Azzarello il quale ha evidenziato che Girone e Latorresono funzionari dello Stato italiano“, che all’epoca dei fatti erano  impegnati nell’adempiere ai loro compiti in un’operazione antipirateria e si trovavano inoltre “a bordo di una nave battente bandiera italiana“, l’Enrica Lexie che navigava “in acque internazionali“, circostanze queste secondo l’ ambasciatore italiano che giustificano un’immunità di fronte alla giustizia di altri Paesi.

Il rappresentante indiano Balasubramanian e l’ambasciatore italiano Azzarello

I due marò italiani peraltro hanno sempre dichiarato di aver sparato colpi di avvertimento in acqua all’avvicinarsi del peschereccio St. Antony, temendo di essere sotto l’attacco di pirati. La nave mercantile italiana, sul quale prestavano servizio come scorta i marò contro gli attacchi dei pirati,  subito dopo l’incidente venne costretto ad entrare in porto e i due fucilieri fatti scendere e arrestati dai militari indiani.

L ‘ambasciatore Azzarello ha contestato che agli occhi dell’India,non vi è presunzione di innocenza perchè i marò erano colpevoli di omicidio ancor prima che le accuse fossero formulate” accusando all’India anche degli “ingiustificabili rinvii” nei procedimenti e di aver “inventato speciali procedure, in violazione della stessa Costituzione indiana”, arrivando al punto di formulare la drammatica ipotesi di una condanna a morte.

i marò Girone e Latorre e l’ Ambasciatore Azzarello

Il Governo italiano ha apprezzato peròil ritorno alla normalità delle relazioni tra i due Paesi” dopo il rientro dei due marò in patria, ed ha invitato la Corte a considerare anche le ragioni umanitarie in quanto Girone e Latorre sono stati “privati in vario modo della loro libertà” per quasi 8 anni, in quanto anche se si trovano in Italia  i due marò restano infatti sotto l’autorità della Corte Suprema indiana e hanno ancora l’obbligo di firma, non possono né incontrarsi nè viaggiare.

Il rappresentante indiano Balasubramanian ha invece dichiarato che “l’Italia ha infranto la sovranità dell’India nella sua zona economica esclusiva dove i due marò hanno sparato con armi automatiche contro un peschereccio indiano” uccidendo due membri di equipaggio, aggiungendo che “L’India e due suoi pescatori sono le vere vittime“. E’ per questo, secondo il rappresentante indiano, il caso “è materia di tribunali nazionali“.

Adesso i cinque giudici componenti la corte del  tribunale arbitrale internazionale avranno due settimane di tempo per ascoltare dai rispettivi team legali a colpi di esami balistici, referti di autopsie, testimonianze e carte nautiche, e valutare la ricostruzione dei fatti accaduti. La decisione arriverà entro sei mesi e, forse finalmente, la disputa potrà ritenersi definitivamente chiusa.

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