di Giovanni M. Jacobazzi
Frank Cimini è uno dei cronisti che nel giornalismo italiano degli ultimi quarant’anni hanno fatto la storia della “giudiziaria”. Ex ferroviere, poi praticante al Manifesto, è stato per oltre un quarto di secolo l’inviato del Mattino al Palazzo di Giustizia di Milano. Ha vissuto gli anni ruggenti di “Tangentopoli“, gli anni del trionfo delle manette e della rivoluzione togata. In pensione dalla fine del 2013, cura un seguitissimo blog, Giustiziami.it, pieno di retroscena su quanto accade nelle austere stanze del Tribunale milanese. La testata rende bene l’essenza del Cimini pensiero, maturato dopo aver vissuto per decenni a contatto con i magistrati: “Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato“.
È stato lui lo scorso fine settimana a scatenare il panico nella magistratura italiana con un articolo dal titolo eloquente: “Storia di corna, membro del Csm simula furto dell’iPhone”. In questi giorni Cimini è a Ginostra. Lo raggiungiamo telefonicamente per un’intervista dopo che il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha inviato a tutti i membri dell’organo di autogoverno una nota che smentisce le rivelazioni di Giustiziami. it: “A seguito di richieste di chiarimento formulate da diversi colleghi, Vi scrivo con riferimento alla vicenda riportata dai mezzi di stampa”, si legge nella comunicazione di Legnini. Il quale ricorda come, secondo “alcuni quotidiani” e “talune testate giornalistiche in rete“, penderebbero “un procedimento penale e uno disciplinare a carico di un componente di questo Consiglio superiore“. Procedimenti che “discenderebbero da una sua denuncia” sull’“impiego abusivo di un cellulare per imprecisate comunicazioni effettuate da terzi”.
Si tratterebbe di un messaggio WhatsApp inviato per errore alla moglie del consigliere del Csm ed evidentissimamente destinato a un’altra donna, che avrebbe spinto il membro del Consiglio a denunciare l’uso abusivo del telefonino, rimasto in realtà sempre in suo possesso. Legnini scrive ai consiglieri che “non risulta pendente alcun procedimento“.
Cimini, hai visto che caos hai scatenato? Il tuo pezzo ripreso anche da Dagospia è stato tra i più letti del weekend. Ma la storia è vera?
Confermo pienamente il fatto storico. Un magistrato membro del Csm, con il cellulare di servizio, ha scritto via whatsapp un messaggio all’amante inviandolo per errore alla moglie. Per tentare di placare la furia della moglie tradita si è inventato la storia che gli era stato rubato il telefonino. E, nel tentativo di dimostrare di essere estraneo al fatto presentava pure una denuncia affermando di aver subito un furto. Gli accertamenti svolti, però, hanno appurato che il cellulare era sempre rimasto nella disponibilità del consigliere togato e mai oggetto di un furto.
Quando sarebbe avvenuto l’episodio?
Alcuni mesi fa. È coperto dal massimo riserbo anche se risulta essere a conoscenza di un numero non piccolo di persone.
Che provvedimenti hanno preso i colleghi dell’incauto consigliere?
Questo non so dirlo. Non so quali siano le decisioni della Procura di Roma. Ma dubito seriamente che possano e vogliano procedere contro di lui.
E perché?
Le carriere dei magistrati dipendono totalmente dal Csm. Il consigliere in questione è un potentissimo presidente di Commissione. Mi spieghi quale pm ha il coraggio di indagarlo a costo di vedere la sua carriera stroncata per sempre.
Legnini scrive che “non risulta pendente alcun procedimento penale”.
Appunto, non risulta “pendente”. La smentita si limita a escludere attuali procedimenti penali. Non dice se il fatto è successo o meno. Se è stato archiviato oppure se è stato già definito.
Legnini ricorda anche che questa vicenda ha suscitato “apprensione” e “disagio” in tutto il Csm.
Sarò prevenuto, ma questo Csm fu quello che, al culmine dello scontro che andava avanti da mesi fra Bruti Liberati e il suo aggiunto Robledo, annunciò il procedimento disciplinare solo quattro giorni dopo il comunicato con cui l’allora procuratore disse che di lì a poco sarebbe andato in pensione. I magistrati la devono smettere con la favola dell’indipendenza e dell’autonomia. E basta anche con questa farsa dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Su una cosa si può convenire, Cimini: se fosse stato un politico a mandare messaggi all’amante col telefonino di servizio e poi a simnularne il furto, sarebbe stato crocifisso a testa in giù.
Sì, sarebbe stato colpito e affondato a colpi di legalità.
*intervista tratta dal quotidiano online IlDubbio.news