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18 Marzo 2025 03:12

Un vento di burrasca agita la navigazione del Pd

"Si può dire che la crisi strategica che scuote tutto il paese e la sua classe dirigente riverbera gli effetti più forti proprio dalle parti del Nazareno"
di Marco Follini

C’è un vento di burrasca che in questi giorni agita la navigazione del Partito Democratico. Circostanza che induce gli analisti alle previsioni più fosche, i militanti agli stati d’animo più polemici e gli elettori ai sentimenti più perplessi. Si vedrà se tutto questo trambusto porterà a cambiare linea, a cambiare leader o a cambiare costumi. Ma per intanto si può dire che la crisi strategica che scuote tutto il paese e la sua classe dirigente riverbera gli effetti più forti proprio dalle parti del Nazareno

Non è un caso. Il Pd infatti è per così dire il ‘partito più partito’ che c’è oggi sulla piazza. Discende da nobili tradizioni e ospita in sé i grandi blasoni della vita repubblicana di una volta. Assomma una discreta quantità di ceto politico, vecchio e nuovo, che conduce la sua esistenza pubblica sacrificando molto del suo tempo al professionismo politico. E cioè a quella tal cosa che una volta era ragione di merito e di vanto e che da un po’ di tempo in qua è diventata invece una macchia sul curriculum. In una parola incarna una antica tradizione che non va più di moda, e ovviamente ne paga le conseguenze.

Ora, la crisi della politica colpisce tanto più duramente proprio coloro che alla politica affidano le loro maggiori aspettative. C’era una volta, infatti, l’idea che i problemi del paese si dovessero risolvere con l’attivismo, la militanza, l’elaborazione. In una parola, il ‘mestiere’. Tutto il tempo dedicato a questa impresa implicava all’epoca una gran fatica e un discreto ascolto del prossimo. E quel continuo rimuginare sulle proprie sorti aveva per così dire un doppio risvolto. Da un lato induceva a prendere le cose molto scrupolosamente. Dall’altro finiva per essere un ingombro per quanti avevano qualche remora a vivere (emotivamente) di pane e politica.

Nell’immaginazione di tanta parte del paese temo che il Pd sia ancora vissuto così. E cioè come un esercito di professionisti della vita pubblica che a furia di elaborare, interrogarsi, litigare, spaccando il capello in quattro e trovando ogni pretesto per distinguersi l’uno dall’altro, alla fin fine hanno reso l’argomento poco accattivante per la gran parte degli elettori (tranne i propri, s’intende). Così proprio la fitta densità di opinioni, strategie e classi dirigenti che si affollano nei pressi del Nazareno, annodando e disfacendo di continuo i nodi della loro stessa tessitura politica hanno concorso a rendere meno comprensibile il senso del progetto che viene offerto a un mercato così erratico e nervoso come quello che oggi affolla la pubblica piazza.

Si aggiungano a tutto ciò gli infiniti tormenti di questi giorni. Un sentimento ‘disarmista’ e pacifista, ai confini del disimpegno, che fa a pugni con le ragioni strategiche che l’europeismo cerca faticosamente di dare a se stesso. Una segretaria che ha recuperato un certo consenso elettorale ma che non sembra curarsi affatto del consenso del suo gruppo dirigente. Una quantità di pseudo alleati che non riconoscono nessuna primazia al partito più forte, e anzi ne fanno il bersaglio preferito del loro quotidiano tiro a segno. E infine, quella singolare mescolanza di ingenuità e di scaltrezza che sempre più connota il confuso vai e vieni dei leader e delle correnti. Insomma, ce n’è quanto basta per segnalare un allarme rosso. Che alcuni pensano di fronteggiare con un happening congressuale, dimentichi che un congresso l’hanno appena celebrato. E che altri immaginano di risolvere con una pacificazione dei gruppi dirigenti, trascurando il fatto che il litigio casalingo sembra essere una delle specialità più praticate in una ditta che ha cambiato otto segretari in vent’anni.

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