Chissà se in questi ultimi mesi a Virginia Raggi, riascoltando le parole che il compagno di partito urlava nel 2014 chiedendo le dimissioni di Ignazio Marino travolto dalle accuse dei pm a Buzzi e Carminati, saranno fischiate le orecchie. E chissà se lo stesso Di Battista, dopo gli arresti e i processi per corruzione di Raffaele Marra e Luca Lanzalone, braccio destro e sinistro della sindaca pentastellata, userebbe oggi le stesse parole che sembrano calzare a pennello anche per la sua amica.
È un fatto, però, che l’avventura della Raggi – a poco più di due anni dalla sua elezione – rischia di concludersi anzitempo a causa di un cortocircuito, e di incapacità, più che giudiziarie, amministrative e politiche. Un flop causato da errori a catena commessi non solo della sindaca della Capitale, ma dell’intera classe dirigente del Movimento Cinque Stelle.
Ora dovranno decidere se Virginia ha mentito o meno davanti al dirigente dell’Anticorruzione, a cui giurò che fu lei, e non Raffaele (al tempo direttore del Personale) a scegliere in piena autonomia lo scatto di carriera (e di stipendio) del di lui fratello, Renato.
Le chat sembrano far propendere per la bugia, secondo il pm Paolo Ielo spacciata dalla Raggi per salvare la ghirba e la poltrona. Ma chi scrive (nonostante sia stato L’Espresso a pubblicare nel settembre del 2016 l’inchiesta giornalistica sui rapporti tra Marra e l’imprenditore Sergio Scarpellini, articolo che ha dato il via al filone penale sulla corruzione dell’ex finanziere; dopo il sequestro del suo cellulare e il ritrovamento di alcune chat tra Marra e la sindaca, i pm di Roma hanno poi aperto un nuovo rivolo, accusando la Raggi di falso) crede che la sindaca non debba lasciare a causa di una condanna per un reato “bagatellare”.
Rispetto ai disastri e alle altre menzogne della Raggi, che non hanno rilievo penale, il presunto falso raccontato al pubblico ufficiale dell’Authority di Cantone appare francamente come una quisquilia. La Raggi ha mentito ai romani spiegando che “Marra (appena arrestato, ndr) era solo uno dei 23 mila dipendenti del Comune“, e ha mentito sull’ex assessore Paola Muraro: nonostante fosse venuta a conoscenza dell’indagine sulla sua collaboratrice, Virginia per 50 giorni negò di essere a conoscenza di eventuali procedimenti giudiziari. Senza dimenticare le omissioni sul curriculum, come quelle sul passato nello studio di Cesare Previti, o sulla presidenza di una società dell’ex segretario di Franco Panzironi, appena condannato per Mafia Capitale.
La Raggi da gennaio 2017 ha messo la città di Roma nelle mani di un avvocato di Genova che, secondo la procura capitolina, era al soldo di un’associazione a delinquere guidata dal costruttore Parnasi, da cui Lanzalone avrebbe ricevuto circa 100 mila euro tra utilità e consulenze in cambio di un’iter rapido per il via libera al progetto dello stadio di Tor di Valle.
“Chi ha sbagliato pagherà“, ripete sempre la Raggi a ogni inciampo e scandalo, come se non fosse stata lei a promuovere Marra, e a piazzare Lanzalone a presidente dell’Acea. O a nominare un fedelissimo del suo Mr.Wolf a commissario straordinario dell’Istituto di previdenza dei dipendenti comunali (Ipa), il livornese Fabio Serini, con un contratto a oltre 115 mila euro l’anno.
Peccato che Serini (anche lui indagato per corruzione) non fosse un commercialista qualunque, ma un uomo che Lanzalone conosceva assai bene: quando Serini era commissario giudiziale dell’azienda dei rifiuti di Livorno (Ammps), Lanzalone e il suo socio Luciano Costantini ne erano infatti i consulenti legali, incaricati alla difesa dell’azienda.
Qualche giorno fa i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno scoperto “che non solo Luca Lanzalone ha aiutato Serini (in pieno conflitto di interessi, ndr) a ottenere dal sindaco Raggi la nomina a commissario dell’Ipa” ma che lo stesso Serini, una volta nominato dalla grillina, ha poi affidato allo studio di Lanzalone “incarichi remunerati“. Se Parnasi dava o prometteva a Lanzalone consulenze pagate con denaro privato, in pratica, stavolta si tratta di soldi pubblici dei contribuenti.
Al netto delle capacità nella gestione della Città eterna, sprofondata dal suo arrivo ancor più nel degrado e nella sporcizia, con municipalizzate sull’orlo del fallimento, strade e quartieri violenti e insicuri, autobus in fiamme e scale mobili della metro che crollano, in un Paese normale sarebbe bastato solo uno degli scandali che hanno asfissiato Roma e il Campidoglio negli ultimi due anni a costringere la Raggi a fare un passo indietro. Invece a gettare la Capitale (e il M5S) nel caos politico rischia di essere un reato bagatellare, un segno evidente della subordinazione costante della politica italiana alla magistratura.
Un caos politico che tra l’altro non vuole nessuno, e in tanti tifano nell’assoluzione completa: non solo tra le file governiste del M5S, ma pure nel Pd c’è chi giura e sogna che la Raggi sarà assolta. In caso di elezioni anticipate, i democratici sanno benissimo che la Città Eterna rischia di finire non tra le loro braccia. Ma tra quelle di Salvini.
*opinione tratta del settimanale L’ ESPRESSO