Dopo le aperture di Matteo Renzi all’Assemblea Nazionale del PD, l’attenzione dei principali partiti politici italiani è tornata sul sistema elettorale in vigore fra il 1993 ed il 2005: il Mattarellum. Questo sistema, che si connota come un sistema misto – alla Camera una quota di 475 deputati eletti tramite collegi uninominali a turno unico, e 155 seggi assegnati con liste bloccate e soglia di sbarramento al 4% – ha da una parte ricompattato il PD e dall’altra ha visto la disponibilità di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, a condizione che si torni alle urne in fretta.
Ma a chi conviene un ritorno al passato ed alla legge elettorale che prende il nome dall’attuale Presidente della Repubblica? YouTrend, progetto di informazione incentrato sui sondaggi e i trend sociali, economici, politici di Quorum, società attiva nel campo delle ricerche sociali e di mercato, della comunicazione politica e della strategia elettorale, ha cercato di capirlo partendo da una simulazione del risultato elettorale.
Per farlo è stata utilizzata la supermedia settimanale dei sondaggi al 18 dicembre 2016 (che vede il PD al 30,9%, il M5S al 29,2%, la Lega Nord al 12,2%, Forza Italia al 12,2%, Fratelli d’Italia al 4,6%, Alleanza Popolare al 3,4% e Sinistra Italiana al 3,1%). Si è ipotizzato innanzitutto che il centrodestra abbia la volontà e la capacità di individuare candidati comuni in tutti i collegi, stipulando un’alleanza nazionale, e che il supporto verso tali candidati sia pari alla somma dei partiti alleati. In seconda battuta sia AP che SI sono state mantenute fuori da alleanze elettorali, non essendoci al momento precedenti a livello nazionale che facciano intravedere nell’immediato un sodalizio con il PD renziano. Sulla base della media dei sondaggi citata, i due partiti non otterrebbero rappresentanza in Parlamento, non superando la soglia del 4%.
In secondo luogo, la griglia dei collegi utilizzata per la simulazione è quella che fu impiegata nel 1994, 1996 e 2001, e la simulazione si è effettuata per la sola Camera dei Deputati, dove l’elettorato attivo è composto da tutti i maggiorenni e che può riflettere più precisamente l’opinione fotografata dai sondaggi. Infine, si è presa la distribuzione territoriale del voto alle europee del 2014 (che fra le altre cose ha il pregio di evidenziare correttamente la progressiva meridionalizzazione dell’elettorato M5S) e si è applicato uno swing nazionale uniforme. Il risultato è il seguente:
- Pd – 182 seggi
- 128 in base ai collegi
- 54 in base alle liste
- M5S – 241 seggi
- 190 in base ai collegi
- 51 in base alle liste
- Centrodestra – 203
- 150 in base ai collegi
- 53 in base alle liste
Dei tre poli che competono a livello nazionale, il Movimento 5 Stelle risulterebbe il più consistente con 241 seggi, un dato assolutamente storico per il partito di Beppe Grillo, ma insufficiente a conseguire una maggioranza. I grillini si fermano infatti a più di 70 seggi da quota 316, necessaria per controllare Montecitorio. Al secondo posto troviamo il riunito centrodestra, con ben 203 seggi, seguito a breve distanza dal Partito Democratico con 182 seggi. Gli unici 4 seggi rimasti vanno ai rappresentanti della SVP altoatesina ed al rappresentante della Valle d’Aosta. In sintesi il risultato ad oggi sarebbe la mancanza di una maggioranza alla Camera, con una situazione di sostanziale equilibrio fra centrodestra e PD, con un vantaggio invece più marcato per il M5S. In particolare il PD sarebbe punito dal suo essere “non coalizzabile” né con Alfano, né con la Sinistra, scontando il suo isolamento politico in un sistema ormai tripolare.
A livello di distribuzione territoriale del voto, il partito di Grillo riuscirebbe ad essere estremamente competitivo nel Centro e nelle Isole, dove eleggerebbe rispettivamente 43 e 52 deputati nei collegi uninominali, sui 54 e 55 in palio in queste due zone. Maanche nel Sud si farebbe sentire la forza elettorale dei 5 stelle (62 seggi su 106), che qui incontrerebbero la più agguerrita concorrenza del centrodestra, che si assesterebbe a 34 deputati. In particolare, sulla base del voto 2014, la Campania e la Puglia vedono buone chance per il polo conservatore. Se d’altra parte le Regioni Rosse restano appannaggio del PD (72 deputati su 80), al Nord la sfida è più aperta, ma sarebbe sempre il centrodestra ad imporsi sul partito di Renzi (e Gentiloni), portando a casa 110 deputati contro i 41 dei democratici.
Quello che emerge complessivamente è un’Italia spaccata in tre: le regioni settentrionali a forte orientamento conservatore, specie nella provincia; le regioni rosse roccaforti del PD, il Centro-Sud e le Isole con un risultato lusinghiero per il M5S (1). È bene ricordare che la simulazione è stata effettuata sui collegi risalenti al 1993, fattore su cui torneremo in seguito.
Questi numeri ci dicono quindi che la mossa di Renzi è un suicidio politico e che il successo dei grillini è dietro l’angolo? Tutt’altro, come avremo modo di argomentare. Alla domanda “a chi conviene il Mattarellum?” va data però risposta avendo in mente come alternativa quella che pare l’altra unica prospettiva verosimilmente in gioco: un sistema proporzionale senza clausole (cioè senza soglie di sbarramento elevate e senza circoscrizioni piccole). Su questo raffronto si articolerà la riflessione che segue.
A chi conviene il Mattarellum
1 – Al Partito Democratico. Il dato dei 182 seggi al PD non deve ingannare: questo risultato è frutto del dato elettorale più basso mai registrato nei sondaggi dal PD renziano, una sorta di “nadir” post referendario. In prima battuta dobbiamo quindi registrare come in numerosi collegi (una ventina) il principale partito di centrosinistra si piazzi a meno di 3 punti percentuali di distanza dal primo arrivato. Con un lieve aumento dei consensi al PD ed in particolare una buona performance nel Nord Ovest, il partito di Renzi potrebbe sfondare agilmente quota 200 deputati. In aggiunta, il centrosinistra è tradizionalmente riuscito a mettere in campo nei collegi uninominali candidati che riuscivano a migliorare le performance che sulla carta erano previste, e non bisogna dimenticare che il PD al momento controlla il 60% dei Comuni superiori italiani, sulla base delle tornate elettorali tenutesi fra il 2012 ed il 2016. I democratici hanno quindi a disposizione una classe politica diffusa sul territorio e con un passato amministrativo rilevante, che in un sistema di collegi maggioritari a turno unico può rappresentare un punto di forza.
In seconda battuta, i collegi utilizzati per la simulazione sono quelli definiti con decreto legislativo nel 1993. Ad oggi andrebbero rivisti dal Governo in carica, su indicazione delle Camere. Questa operazione è rilevante su due fronti. Da una parte vi sono stati negli ultimi vent’anni alcune variazioni nella distribuzione della popolazione in Italia: il peso demografico di Lombardia (dove il centrodestra consegue più collegi), Lazio (M5S), Veneto (CDX) ed Emilia-Romagna (PD) è aumentato; mentre è diminuito quello di Calabria (M5S-CDX), Sicilia (M5s), Liguria (M5S-PD), Puglia (M5S-CDX), Piemonte (M5S-CDX) e Campania (M5S-CDX). In sostanza, ridisegnando i collegi nel 2016 le regioni che saranno penalizzate sono quelle dove il Movimento 5 Stelle ed il centrodestra raccolgono maggiori consensi, e questo potrebbe rappresentare un lieve vantaggio competitivo del PD. A questo si aggiunga il secondo versante, per il quale sarà il Governo a ridefinire i confini dei collegi, e non è da escludersi qualche operazione di gerrymandering (termine con il quale si indica l’operazione che vede i collegi ritagliati per favorire il controllo da parte di un determinato partito). Ovviamente anche questo effetto non sarebbe determinante, ma nel caso può solo andare a favore delle forze di maggioranza.
In conclusione, il PD potrebbe assestarsi oltre quota 250 deputati nell’ipotesi di un nuovo Mattarellum, consistenza che gli consentirebbe di essere partner inevitabile di qualsiasi governo post-elettorale. Questa quota di seggi sarebbe verosimilmente superiore a quella che il partito di Renzi potrebbe portare a casa con un sistema proporzionale, rafforzandolo nelle trattative che si terranno dopo il voto.
2 – Alla Lega Nord. Matteo Salvini dovrebbe guardare con favore alla reintroduzione del Mattarellum per due motivazioni principali. La prima è che forzerebbe il centrodestra a ricompattarsi per individuare i candidati comuni nei collegi, e questo gli consentirebbe di concorrere per la leadership della coalizione, cosa assai più complessa in un sistema proporzionale. Ma più interessante e meno evidente è il ruolo giocato dai collegi del Mattarellum.
Ad oggi il centrodestra unito risulta avvantaggiato in 110 collegi del Nord. È verosimile aspettarsi che nelle negoziazioni con Forza Italia per l’identificazione dei candidati per l’uninominale il Carroccio possa legittimamente aspirare ad almeno 70 collegi “sicuri” su 110, visto il peso specifico della Lega rispetto al partito di Silvio Berlusconi da Roma in su (2). Un’altra ventina di seggi dovrebbero provenire dalla parte proporzionale, portando la Lega ad un risultato complessivo di poco inferiore ai 100 seggi. Rispetto ai circa 80 che potrebbe conseguire con un sistema proporzionale, il vantaggio per Matteo Salvini appare evidente, e si somma alla prospettiva di poter rappresentare il volto mediatico principale del centrodestra italiano.
3 – A Fratelli d’Italia. Anche il partito di Giorgia Meloni potrebbe trarre ragionevoli vantaggi dal Mattarellum e dalla coalizione forzata con Forza Italia, ma per ragioni differenti rispetto alla Lega. FDI attualmente è accreditata di poco più del 4%, che rappresenta la soglia di sbarramento per la spartizione dei 155 seggi della quota proporzionale. La prospettiva di rimanere di poco al di sotto di questa soglia – specie in caso si affluenza molto differenziata fra Nord e Sud, con una penalizzazione per un partito come Fd’I che consegue i maggiori consensi in Meridione – non appare peregrina. Al contrario, le dinamiche di alleanze pre elettorali del maggioritario consentirebbero ai Fratelli d’Italia di poter richiedere almeno 10 candidature in collegi sicuri del Centro-Sud (sui 34 stimati per il centrodestra oggi), garantendosi una rappresentanza alla Camera in ogni caso. Da sottolineare come il contributo del partito della Meloni sia fondamentale in tutto il Meridione per la competitività del centrodestra, motivo per cui difficilmente Forza Italia potrebbe poter fare a meno del piccolo partito della destra conservatrice. In definitiva questa prospettiva rappresenta un caso da manuale di cosiddetta “proporzionalizzazione del maggioritario”.
A chi non conviene il Mattarellum
1 – A Forza Italia. Sulla base di quanto scritto in precedenza relativamente alla Lega e a Fratelli d’Italia, possiamo capire perché ai forzisti non convenga un ritorno al maggioritario. Da una parte una coalizione pre elettorale obbligatoria ed una perdita “netta” di collegi sicuri a favore degli alleati porterebbero il partito di Silvio Berlusconi a vedere la sua rappresentanza nella nuova Camera attorno ai 70 seggi, una quota probabilmente inferiore a quella che potrebbe conseguire con una spartizione proporzionale; dall’altra ancorerebbe più saldamente FI nel campo del centrodestra, creando complicazioni ad una possibile larga intesa necessaria nel (probabile) caso in cui nessun partito controlli la maggioranza assoluta dei seggi. Non a caso i rumors vogliono i berlusconiani più centristi favorire una modifica al vecchio sistema elettorale, con un’espansione della quota proporzionale del Mattarellum dal 25% al 40%.
Questa posizione di Forza Italia è in verità curiosa, dal momento in cui il centrodestra globalmente inteso si denoti come molto competitivo nel Mattarellum, specie in caso di performance deludente del Movimento 5 Stelle al Centro-Sud. Proprio nel Meridione infatti la competizione diretta sarebbe CDX vs M5S, ed il primo beneficiario di un calo del consenso grillino (anche solo di una manciata di punti, ritornando al consenso che in media si registrava per il partito di Grillo in primavera: 25%) sarebbe una ipotetica coalizione popolar-conservatrice. A ciò si aggiunga che nel caso in cui le fortune politiche dell’NCD dovessero subire uno scacco, anche qui i primi a trarne profitto sarebbero i candidati del centrodestra nei collegi a sud di Roma. Insomma, il Mattarellum nel complesso non sfavorisce affatto il centrodestra, ma tende a rendere plastiche le diverse traiettorie dei partiti che lo compongono. Da una parte una Ligue National (come definita da Ilvo Diamanti) che vede uniti Salvini e Meloni nel rifiutare qualsiasi accordo con il PD, dall’altra Forza Italia che non riesce ad emanciparsi da una tentazione di convergenza verso il centro, con la consapevolezza di poter sfruttare la propria posizione di partner inevitabile del PD nel caso in cui nessuno abbia la maggioranza alle Camere.
2 – Al Movimento 5 Stelle. Nella nostra simulazione del risultato elettorale, il M5S è all’apice dei consensi, vicinissimo alla soglia del 30%. In caso di traslazione netta delle intenzioni di voto al partito sui candidati da esso indicati, il movimento anti establishment sarebbe assai competitivo in numerosissimi collegi del Centro-Sud, con percentuali di tutto rispetto nella provincia di Roma e Viterbo, nelle basse Marche e negli Abruzzi, in Sicilia e Sardegna. Da non dimenticare anche l’importante consenso del M5S nella provincia di Torino (anche al di fuori del bacino tradizionale della Valsusa) e della Liguria occidentale, a danno del centrodestra. Come abbiamo visto, il più probabile risultato sarebbe un M5S con più di 200 seggi, addirittura 241. Allora perché a questo partito non converrebbe il Mattarellum?
Innanzitutto perché la traslazione delle intenzioni di voto per un partito sui candidati locali per collegio non è scontata. Questo si è visto molto plasticamente nelle elezioni amministrative 2016, dove sì il M5S ha vinto in 19 Comuni superiori spesso con percentuali molto alte al secondo turno, ma dove è arrivato in testa in soli 7 fra essi (ed uno era il Comune di Roma…). In sostanza i candidati locali del M5S puntualmente “fanno peggio” rispetto ai consensi che sulla carta dovrebbe avere il loro partito. A questo si aggiunga che nella grande maggioranza dei collegi al momento attribuiti ai grillini la competizione sarà fra loro ed il centrodestra: una rinnovata competitività del polo conservatore (tradizionalmente capace di mobilitare ampie fette di elettorato attorno al proprio ceto politico locale in Meridione), unita anche solo ad un lieve calo dei consensi per il partito di Grillo rappresenterebbe una grave minaccia in termini di seggi.
Ora, queste valutazioni non ci devono portare ad un’equazione diretta fra comunali ed elezioni per il Parlamento, dal momento in cui la politicizzazione delle seconde sarà sicuramente ad altissima intensità ed il fattore di scarso radicamento dei candidati locali si farà sentire meno. Ma in definitiva la quota 241 seggi rappresenta al momento più un tetto massimo che una concreta aspettativa per il M5S. In questo senso possiamo comprendere il favore del M5S verso un sistema proporzionale, che consente loro di bypassare il problema dell’uninominale.
3 – Ad Alleanza Popolare. Il partito del nuovo ministro degli Esteri si trova di fronte ad un sistema che lo penalizzerebbe fortemente, forzandolo – come ricordato più volte – a coalizioni prima del voto. Il Nuovo Centrodestra, che al momento sta subendo anche problemi nelle relazioni con gli (ex?) alleati interni dell’UDC, ad oggi resterebbe a bocca asciutta, senza rappresentanza nel nuovo Parlamento (essendo al di sotto della soglia del 4% per accedere alla spartizione proporzionale, ed anche in tal caso i deputati eletti sarebbero solamente una manciata). Si pone quindi il problema del posizionamento del partito, dal momento in cui la tradizionale politica dei “due forni” non paga con il Mattarellum.
In caso di alleanza organica con il PD, tutta da verificare a livello politico, NCD porterebbe in dote un consenso rilevante solo in zone dove il PD non è di fatto competitivo: Calabria, Sicilia, Puglia (tre regioni dove sarebbero solo tre i collegi ad oggi vinti dai democratici!). Questa osservazione ci porta al rovescio della medaglia: i voti dell’NCD sarebbero preziosissimi per il centrodestra globalmente inteso. Proprio in queste regioni, come abbiamo avuto modo di vedere, si concentrerebbe la competizione fra grillini e (post)berlusconiani, ed un contributo anche solo del 5% sarebbe determinante per le fortune del polo di centrodestra. Ma qui entrano in gioco le variabili politiche e l’incompatibilità Salvini-Alfano, a maggior danno della competitività della coalizione ipotizzabile. Possiamo quindi ben comprendere come un sistema proporzionale, possibilmente senza soglie e con circoscrizioni ampie (su base regionale ad esempio), possa riscontrare il favore dell’NCD. Il Mattarellum decisamente no.
4 – A Sinistra Italiana. Un discorso simile può essere fatto per Sinistra Italiana, che non avrebbe rappresentanza con il Mattarellum, neanche nella parte proporzionale (come successo nel 2001 ad Antonio Di Pietro, che si fermò beffardamente al 3,9%). Del tutto futuribili appaiono al momento valutazioni in merito ad un’alleanza PD-SI, che pure potrebbe risultare assai utile ai democratici in determinate zone urbane del Paese – in particolare Torino, Milano, Genova, Roma, Bari. Anche per la Sinistra possiamo quindi dire che un ritorno al Mattarellum non sarebbe affatto conveniente.
Conclusioni
Concludendo, si può dire che il Mattarellum apra spiragli interessanti per la competizione politica attuale. Da una parte tutti e tre i poli sarebbero competitivi, e avrebbero buone carte da giocarsi secondo i loro diversi punti di forza: una possibilità di uscire rafforzati dalla dinamica uninominale (PD), la capacità di mettere in campo una coalizione ampia e radicata in varie zone del paese (centrodestra), un consenso ad oggi rilevantissimo in determinate regioni d’Italia (M5S). Tuttavia il PD, la Lega e Fratelli d’Italia appaiono, sulla base delle considerazioni esposte, come i partiti che rispetto ad un sistema proporzionale senza clausole potrebbero ricevere maggiori benefici da un ritorno all’uninominale. Con la consapevolezza che l’esito più probabile delle prossime elezioni sarà comunque un parlamento senza una maggioranza monocolore, ma la necessità di larghe intese dopo il voto. La cronaca delle prossime settimane ci dirà come si posizioneranno i partiti alla prova dei fatti.
(1) Nord: PD 41, M5S 25, 110 CDX, Altri 4
Regioni rosse: PD 72, M5S 8, CDX 0
Centro: PD 4, M5S 43, CDX 7
Sud: PD 10, M5S 62, CDX 34
Isole: PD 1, M5S 52, CDX 2
(2) Rispettivamente il rapporto Lega-FI alle ultime regionali è stato di circa 3:1 in Veneto ed Emilia-Romagna e di 2:1 in Liguria e nelle Marche.