La Corte d’Appello Civile di Bari nel collegio presieduto dal giudice Vittorio Gaeta, relatrice la giudice Paola Barracchia, chiamata dalla Corte di Cassazione a pronunciarsi sul potenziale danno causato alla Regione dalla condotta di Raffaele Fitto quando presiedeva la Regione Puglia, ha ritenuto che non vi fu alcuna illegalità nella gestione del fondo di rappresentanza in quanto le scelte furono tutte compiute nell’ambito dell’esercizio di un potere discrezionale, e quindi in modo non imputabile. La Corte d’ Appello ha anche sentenziato come le iniziative ritenute meritevoli di sostegno regionale non siano apparse “inutili o comunque non prioritarie rispetto a spese più urgenti, oppure non equilibrate quanto ai profili del rapporto costi-benefici o qualità-prezzo o disponibilità di migliori soluzioni alternative“.
I difensori di Raffaele Fitto hanno sottolineato con soddisfazione “la qualità della valutazione e conseguente decisione della Corte, che con la sentenza di ieri ha posto definitivamente la parola fine su un’accusa che si protraeva da diciassette anni, attestando la correttezza con la quale l’onorevole Raffaele Fitto ha amministrato la cosa pubblica, durante il suo mandato di rappresentante regionale“.
La vicenda giudiziaria risale al 2004, quando Raffaele Fitto era presidente della Regione Puglia. Nel procedimento penale intrapreso per iniziativa della Procura della repubblica di Bari a carico dell’onorevole Fitto, come si legge nella sentenza, veniva contestata una condotta di peculato in concorso con le funzionarie regionali Colafati e Marzo “perché con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, il Raffaele Fitto nella qualità di Presidente della Regione Puglia, pubblico ufficiale, titolare del potere di autorizzazione delle spese, la Colafati Anna Maria quale dirigente dell’Area Gabinetto della Regione Puglia, Giovanna Rita Marzo quale funzionario istruttore, si appropriavano della complessiva somma di euro 189.700,00, facente parte del Fondo di rappresentanza del Presidente della Giunta regionale di cui avevano la disponibilità per ragione del loro ufficio“.
In particolare secondo la Procura “in violazione delle norme sulla contabilità, autorizzavano a partire dal 4 febbraio 2005 sino al 30 marzo 2005 periodo della campagna elettorale per le lezioni amministrative regionali l’attribuzione in favore dei soggetti elencati nelle determine dirigenziali della complessiva somma suindicata, per finalità private e, comunque, estranee a quelle previste dalle norme regionali e dello Stato sulle spese di rappresentanza”. Comportamento, che, invece, per i giudici della Corte d’Appello civile non prefigurava alcun danno per l’ente, anzi rientrava fra le prerogative proprie del presidente. Ed ancora una volta le iniziative delle toghe “rosse” di turno della Procura di Bari naufragano sugli scogli della giustizia “giusta” e non politicizzata.