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22 Dicembre 2024 10:00

“Zona rossa”nel bergamasco, Conte a rischio dopo 3 ore con il procuratore Rota

Tre ore di audizione con il procuratore aggiunto: "Ho voluto chiarire i minimi dettagli". Il destino della posizione del premier Conte all’interno dell'indagine della Procura di Bergamo, passa nello spazio che divide l’obbligo da una valutazione legittima di una situazione in fieri . Imprevedibili le conseguenze, anche perchè il reato di "epidemia colposa" arriva a prevedere come pena massima l’ergastolo.

ROMA – Ieri non è stata una giornata facile per il premier Giuseppe Conte, che ha ricevuto a Palazzo Chigi alle dieci del mattino il procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota, che sta indagando sulle responsabilità della mancata chiusura ed attivazione della “zona rossa” di Nembro e Alzano Lombardo bel bergamasco.

Tre ore di colloquio per il premier, in un “clima di massima distensione e massima collaborazione istituzionale”, ha dichiarato il procuratore, all’uscita da Palazzo Chigi, una dichiarazione che sembra affievolire il ruolo del premier il quale ha dichiarato con ostentata serenità: “Ho detto che responsabilità è del governo? Dalle dichiarazioni in atto emergeva quello in quel momento”, salvo poi trincerarsi nel silenzio spiegando che non ha nulla da aggiungere.

Il presidente del Consiglio ha dato ferree istruzioni a tutto il suo staff della comunicazione, di tacere con la stampa e tenere la bocca chiusa. Conte è un avvocato e sa molto bene quali sono i rischi e le conseguenze nel divulgare anche un solo minimo particolare di un’indagine in corso.

“Ho voluto chiarire tutti i passaggi nei minimi dettagli”, è l’unico commento che ha fatto, dopo aver trascorso ben tre ore davanti al procuratore di Bergamo, facendo una dettagliata ricostruzione al magistrato ed esibendo uno dopo l’altro tutti i documenti di quei giorni estratti da un dossier minuziosamente preparato . Conte avrebbe rivendicato del tutto la scelta di non chiudere Alzano Lombardo e Nembro. Ha infatti sottolineato: “Posto che la Regione avrebbe potuto agire diversamente, l’ultima parola sulla scelta di non istituire una zona rossa Alzano e Nembro è stata mia e di nessun altro. Me ne assumo ogni responsabilità ma penso anche che sia stata la decisione più giusta in quel momento”. La decisione ultima del premier Conte sarebbe stata data anche dalla conformità del territorio interessato perché “isolare Alzano e Nembro dai paesi circostanti sarebbe stato particolarmente difficile, quasi impossibile. In quell’area tra paese e paese non c’è soluzione di continuità”.

Ufficialmente il Governo vuole manifestare assoluta serenità, anche per parte del ministro della salute Roberto Speranza e dell’ Interno Luciana Lamorgese, anche loro ascoltati per un paio d’ore a testa dal procuratore Rota. Lo spettro che in realtà aleggia è che le posizioni del premier e dei due ministeri da “persone informate dei fatti” possano trasformarsi in una loro un’iscrizione nel registro degli indagati per “epidemia colposa”.

Il premier come ben noto da buon avvocato, seppure civilista, si sa muovere bene tra le sfumature del diritto, e lo staff di Palazzo Chigi ha preparato il proprio dossier difensivo con la massima attenzione. Il timore incombente è l’accusa prevista dal secondo comma dell’articolo 40 del codice penale, che dice: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Sono trascorsi dieci giorni, dal 29 gennaio al 9 marzo , dalla prima indicazione del Comitato tecnico scientifico che consigliava la chiusura dei due comuni all’entrata in vigore della zona rossa in Lombardia , per limitare gli spostamenti degli abitanti di Nembro e Alzano nel territorio lombardo, per il quale si è aspettato tardivamente il “lockdown” nazionale, due giorni dopo.

Il destino della posizione del premier Conte all’interno dell’indagine della Procura di Bergamo, passa nello spazio che divide l’obbligo da una valutazione legittima di una situazione in fieri . Imprevedibili le conseguenze, anche perchè il reato di “epidemia colposa” arriva a prevedere come pena massima l’ergastolo.

Non è stata quindi la giornata che Conte si aspettava. Mentre il premier veniva ascoltato dal procuratore Rota, iniziano a circolare tra i suoi collaboratori gli echi del Consiglio dei ministri di ieri, a partire dalla vendita per 1,2 miliardi di euro di due navi della Marina Militare italiana, la “Spartaco Schergat” e l’ “Emilio Bianchi” all’Egitto . Nulla di segreto, ma le conseguenze di una commessa militare così pesante con il Governo dell’ Egitto che ancora deve fornire chiarimenti e risposte sulla moglie di Giulio Regeni ha fatto scattare l’allarme. La maggioranza parlamentare infatti è a rischio seppure non se ne voglia farne un caso. A Palazzo Chigi arrivano preoccupanti segnali dall’interno del Movimento 5 Stelle, da Leu, ed anche da una componente del Pd.

La richiesta del ministro Franceschini di incardinare per la settimana prossima le modifiche ai decreti sicurezza voluti da Salvini nel precedente governo (sempre a guida Conte) ha trovato impreparato il premier. I testi contengono le osservazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella , sono da tempo custoditi sulla scrivania nel ministro dell’ Interno Luciana Lamorgese. Un’ operazione che però non è per niente semplice e tantomeno in quanto andrebbe a sconfessare uno dei “pilastri” del primo governo Conte (M5S-Lega), rischiando di far molto male al secondo governo Conte (M5S-Pd-LeU).

E tutto avviene alle porte del weekend degli Stati Generali iniziati oggi con un’ impriting di un programma ancora da definire giornata che non raffigura lo scenario immaginato dal premier quando, lo scorso 3 giugno, annunciò l’iniziativa sorprendendo tutti, maggioranza compresa.

Gli Stati Generali organizzati da Conte a Villa Pamphili, a porte chiuse senza streaming e senza stampa, al punto che Mario Monti intervenendo in un programma televisivo ha commentato l’intera iniziativa così: “Si potrebbero definire la Bilderberg dei 5 Stelle”. Alla faccia della trasparenza da sempre ricercata dai grillini, e di fatto calpestata una volta arrivati alle poltrone di Governo.

Maria Cristina Rota il magistrato che la Palamara non voleva procuratore a Bergamo

Se fosse dipeso dalla volontà di Luca Palamara e la sua cricca, ieri a Palazzo Chigi per interrogare il premier Giuseppe Conte non ci sarebbe stata lei. E forse forse quell’interrogatorio non ci sarebbe mai stato…

Maria Cristina Rota, sessant’anni, bergamasca doc, nell’inchiesta sulla omessa “zona rossa” di Alzano e Nembro sta lavorando non solo con la passione di chi è nato e vissuto nella terra flagellata dal virus, sentimento che probabilmente un magistrato venuto da fuori avrebbe avvertito con maggior distacco. Ma è la grinta e la indisponibilità della Rota ai condizionamenti erano le caratteristiche che Palamara non mava dalla magistrata bergamasca.

Non a caso a maggio di due anni fa il leader di Unicost, ex presidente dell’ ANM ed all’epoca dei fatti membro del Csm, specializzatosi a tessere trame poco chiare sulle nomine, manovrò a lungo affichè la candidatura a procuratore della Rota venisse respinta. Alla fine affinchè Palamara venisse messo in minoranza e la Rota venisse nominata procuratore aggiunto ci fu un’alleanza imprevedibile tra Area la corrente di sinistra e Magistratura Indipendente la corrente di destra.

Claudio Galoppi, consigliere Csm

Le chat rintracciate sul telefono di Palamara – come svela il quotidiano IL GIORNALE – segnano l’inizio delle manovre all’ora di pranzo del 14 maggio 2018, quando il pm romano inizia a martellare Claudio Galoppi, consigliere Csm in quota MI e leader indiscusso della corrente conservatrice. “Pat Bergamo, Pat Brescia, ne parliamo?” gli scrive Palamara. Ma cosa è “Pat” ? E’ la sigla convenzionale per indicare la carica di procuratore aggiunto, una figura “chiave” di tutte le Procure, molto spesso il vice del capo, spesso il suo erede come accaduto recentemente a Roma.

“Ok, ci vediamo nel pomeriggio” gli risponde Galoppi. attualmente consigliere giuridico del presidente del Senato, Elisabetta Casellati. In quel momento il “trojan” della Guardia di Finanza non era ancora stato inoculato nel telefono di Palamara, motivo per cui il colloquio tra i due nel pomeriggio non viene registrato. Ma la lacuna viene successivamente colmata il 6 giugno, quando Palamara scrive a Galoppi indicandogli per la procura bergamasca un candidato della sua corrente, Unicost. “È bravissimo!!” gli scrive ma Galoppi gli risponde in maniera un po’ criptica: “Se lo dice un abile politico come te allora è vero“.

Galoppi, come si vedrà successivamente è convinto che in realtà la candidata naturale sia la In realtà Galoppi, come si vedrà, è convinto che la candidata naturale sia la Rota, anche se è di un’altra corrente, perché la magistrata bergamasca appartiene (dettaglio che in queste ore sfugge a quanti la criticano per non avere incriminato i vertici della Regione Lombardia e avere anzi puntato il dito contro il governo centrale) ad Area, la corrente di sinistra dell’ Anm.

Palamara era sotto pressione da parte del suo capocorrente in zona, il presidente del Tribunale di Brescia Vittorio Masia che lo riempie di messaggini propugnando questa e quest’altra nomina. Fin dalla metà di marzo 2018 Masia fa pressioni su Palamara perché vengano piazzati sia a Bergamo che a Brescia magistrati della corrente di Unicost, “abbiamo due splendidi candidati, vediamo di non bruciarli”

Alla fine ha prevalso invece la nomina della Rota che visto l’andazzo generale del Csm, può sembrare, quasi sorprendente. A rendere strategico il posto di procuratore aggiunto a Bergamo c’è, in quei mesi, un elemento ben noto al Csm, e cioè che il procuratore della Repubblica, Walter Mapelli, era molto malato ed un anno dopo, nell’aprile 2019 morirà.

l’ex procuratore capo di Torino, Armando Spataro, già consigliere del CSM

Maria Cristina Rota è cresciuta alla “scuola” di Armando Spataro con cui c’è da sempre grande stima reciproca, ed i due sono molto amici. Il primo risultato importante dalla magistrata che ha interrogato il premier Giuseppe Conte, il ministro della Salute, Roberto Speranza, e dell’Interno, Luciana Lamorgese), fu un caso di cronaca nera: l’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, massacrata a colpi di coltello il 6 giugno 2000 a Chiavenna. A incastrare le responsabili del barbaro assassinio – tre ragazzine minorenni – fu l’allora sostituto procuratore minorile di Milano Maria Cristina Rota.

Come fece? Utilizzando le intercettazioni telefoniche (fu una dei primi magistrati a farlo n.d.r) “Mettere sotto i telefoni“, come si dice in gergo, per ascoltare le reazioni degli indagati agli articoli usciti sulla stampa. Una tecnica che gli investigatori definiscono, informalmente, con questa espressione: “alzare la sabbia“, per poi vedere l’effetto che fa.

E’ lo stesso procuratore Mapelli, un magistrato straordinario, che in quegli ultimi mesi di vita e di lavoro, ad indicare al Csm quella che per lui è l’unica soluzione in grado di mantenere la procura bergamasca all’altezza della situazione quando lui non ci sarà più: Maria Cristina Rota. È stato infatti proprio l’endorsement di Mapelli a buttare all’aria tutte le manovre di Palamara e della sua cricca, convincendo Galoppi a votare insieme ad Area. Ed infatti Il 12 settembre 2018 il plenum del Consiglio superiore della magistratura con uno scontro frontale, deliberò la nomina della Rota: la votazione finì undici a dieci nonostante Palamara fosse riuscito a dirottare sul suo candidato i voti anche del presidente e e del procuratore generale della Cassazione. Una volta tanto, per fortuna le sue manovre non avevano raggiunto l’obiettivo.

In procura a Bergamo la vedono arrivare prestissimo la mattina e andarsene la sera tardi. E per gli interrogatori di palazzo Chigi si era portata avanti arrivando a Roma insieme al pool di magistrati che coordina, e agli uomini della polizia giudiziaria a cui ha affidato le indagini già da mercoledì scorso: 48 oreprima dell’interrogatorio . “Non è andata a fare vacanza o a visitare la Capitale” scherza un autorevole magistrato che la conosce da anni.

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